L'Aquila - La prima cosa che noti non sono le gru, altissime contro il cielo, o i palazzi fatiscenti ancora circondati da putrelle metalliche. Certo, quelli li vedi, ma la prima cosa che ti colpisce davvero, andando in giro per i vicoli del centro de L'Aquila, è il silenzio. A dieci anni esatti dalla scossa che devastò la città, uccidendo 309 persone, molto è stato ricostruito ma molto no. La cosa che è stata ricostruita di meno pare essere la vita. È più inquietante la chiesa di Santa Maria Paganica con il tetto ancora squarciato o la chiesa di San Bernardino restaurata alla perfezione? Sotto i soffitti Barocchi di San Bernardino le panche sono pochissime, evidentemente non c'è la gente, non ne servono di più. E i citofoni delle case del centro ricostruite con pazienza certosina? Molti sono senza nomi, la gente ha optato per andare via, per alloggi sostitutivi, le così dette case equivalenti del decreto 3832, e ora la vecchia casa appartiene al comune. Fuori da un condominio, così perfetto da sembrare un modellino, c'è un cartello: «Non parcheggiate davanti al portone qui è abitato». Lì sì, in moltissimi altri posti no.
Straniante anche la sequenza delle vetrine; vuoto, vuoto, una pasticceria specializzata in torrone, vuoto, vuoto, una gioielleria per turisti, una pizzeria con b&b in palazzo rinascimentale che è un gioiello, vuoto, vuoto, un negozio specializzato in maquillage delle unghie. La vita riparte, ma a singhiozzo, senza regole. Molti qui in centro non tornano perché non ci sono i servizi fondamentali. Le scuole sono state ricostruite fuori. Forse era logico così, ma adesso è davvero difficile dare un senso ai resti tristi dell'elementare De Amicis che del dramma del sisma è diventata un simbolo. Di fronte alle classi sventrate c'è il teatro quasi rifatto a nuovo, la scuola è ancora lì ferita a morte. Simbolo o non simbolo è difficile capire se ricostruirla ha economicamente un senso. Esiste una questione politica, come ha detto il sindaco Pierluigi Biondi (FdI), che si è anche dimesso per protesta, non è possibile derubricare L'Aquila a gestione ordinaria. Le dimissioni sono rientrate solo quando sono stati allocati i fondi e il governo, come ha ribadito venerdì sera il premier Conte, si è impegnato con lo Sblocca cantieri.
Ma esiste anche una complessa questione sociale. Una città non è solo fatta di case. C'è il dolore dei parenti delle vittime che si sono riuniti venerdì all'auditorium. Accertare le responsabilità civili richiede cause che, a un decennio di distanza, sono ancora in corso. Anche in casi di mancanze acclarate, come quelle registrate nel crollo della Casa dello studente. C'è la fatica di chi cerca di tenere vivo il centro e lotta nel deserto. Un barlume resiste, anzi cresce come un rampicante tra le macerie, la testardaggine coraggiosa degli abruzzesi paga. C'è chi ti dice: «Ti sembra vuoto? C'è molta più gente che due anni fa».
Ed è questo barlume cocciuto di speranza che si moltiplica nella notte gelida, quando dal tribunale parte la fiaccolata del decennale. Attorno alla città ci sono le cime innevate, la gente batte i denti ma porta la sua piccola fiaccola. Ci sono i politici, a partire dal premier, ci sono le Ong come ActionAid (sta lanciando in questi giorni la campagna #sicuriperdavvero) che da anni lavorano sul territorio, ma soprattutto c'è la gente. Che spera che tra un decennio il centro de L'Aquila sia tornato a una vita vera e non si trasformi in una crisalide vuota, magari tutta ricostruita ma necrotica. Che spera che non ci siano più tragedie, almeno in parte evitabili, fatte poi passare per emergenze inevitabili.
E la loro speranza accende migliaia di torce, piccole luci che sfilano infinite su per la collina verso il centro della città.
Durante la salita quasi nessuno fiata, come in un rito religioso. Ma il silenzio della notte del ricordo, così pieno di piccole luci, è carico di vita, del respiro delle persone, di normalità riportata a forza dove prima erano solo rovine morte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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