Al Parlamento europeo i «compagni» social-democratici della premier danese Mette Frederiksen e del ministro degli interni Kaare Dybvad Bek siedono nello stesso gruppo del nostro Partito democratico, ma c'è da chiedersi se si siano mai confrontati su temi come immigrazione e accoglienza. Anche perché mentre Enrico Letta rispolvera lo «ius soli» i suoi «compagni» danesi si preparano a votare, su proposta di Kaare Dybvad Bek e d'intesa con il resto della coalizione, una legge per limitare al 30 per cento la presenza di immigranti «non occidentali» nei cosiddetti quartieri «ghetto».
In Italia i «dem» nostrani griderebbero al razzismo e alla xenofobia. In Danimarca i «compagni» socialdemocratici la considerano invece uno strumento indispensabile per arginare lo sviluppo di «società parallele» gestite da gruppi religiosi ed etnici poco disponibili ad accettare le leggi dello Stato. Un fenomeno denunciato anche dal presidente francese Emmanuel Macron impegnato in una vera guerra ad un Islam radicale pronto ad imporre le proprie regole a banlieu e periferie. Ma l'obiettivo della proposta di legge presentata dal ministro dell'Interno Kaare Dybvad Bek è anche quello di proteggere i connazionali rimasti in quartieri dove gli immigrati mettono a rischio la coesione sociale. I socialdemocratici danesi sono infatti convinti che concetti come «diversità» e «multiculturalismo» rappresentino non un vantaggio, ma un problema. E vadano controllati per garantire un'omogeneità sociale rispettosa di leggi e tradizioni. Proprio per questo la bozza messa a punto da Dybvad Bek prevede attente verifiche sull'insediamento di nuovi immigrati «non occidentali» nei cosiddetti quartieri «ghetto» con l'intento di ridurne la presenza sotto il 30 per cento entro dieci anni. La classificazione dei quartieri «a rischio», per quanto emendata dal termine «ghetto» - definito «fuorviante» nella nuova bozza di legge - si applica a qualsiasi zona urbana con più di mille abitanti dove sussistano due dei seguenti quattro fattori: la presenza del 40 per cento di disoccupati, una criminalità tripla rispetto alla media nazionale, stipendi lordi inferiori del 55 per cento alla media e un 60 per cento di residenti tra i 39 e i 50 anni senza diploma superiore. Attualmente almeno una quindicina di aree urbane ricadono in questa classificazione mentre altre 25 sono considerate assai vicine alla soglia di rischio. Già oggi le leggi introdotte a scopo preventivo impongono la riduzione del 40 per cento degli alloggi popolari disponibili in queste zone, l'applicazione di penalità doppie per le infrazioni commesse dai loro residenti e l'immediato ritiro degli assegni familiari a chiunque non iscriva i figli al nido già dal primo anno d'età. Il tentativo di «bonifica» delle periferie si affianca ai drastici provvedimenti già introdotti dalla social-democrazia danese per controllare l'immigrazione e imporre un limite a moschee e predicatori islamisti. Come si ricorderà il governo guidato da Mette Frederiksen aveva autorizzato la confisca, a scopo di garanzia, di denaro gioielli e di qualsiasi oggetto di valore portato con sé dai migranti.
E solo due settimane fa il governo socialdemocratico ha approvato una nuova norma che vieta qualsiasi finanziamento alle moschee da parte di governi stranieri. La legge, arrivata dopo quella sul divieto di burqa e niqab, punta a neutralizzare l'azione di paesi come Qatar, Arabia Saudita e Turchia accusati di favorire la diffusione dell'Islam radicale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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