La sinistra senza bussola: anti Brexit ma filocatalana

I sessantottini nostrani stanno "democraticamente" con Barcellona dopo aver demonizzato il voto inglese

La sinistra senza bussola: anti Brexit ma filocatalana

Le bandierone con le stelle rosse sparate in prima pagina sul Manifesto, la rabbia e l'orgoglio per le mazzate della polizia, quella fragranza di rivoluzione che risveglierebbe pure Bertinotti. E poi naturalmente i social. Pieni zeppi di retweet di Ada Colau la sindaca «pasionaria», perché che piazza sarebbe senza una pasionaria. Il referendum catalano ha risvegliato l'intero set iconografico della archeosinistra nostrana, un campo politico dai contorni e prospettive sempre più sbiaditi man mano che passano i secoli dalla pubblicazione del Capitale, eppure sempre pronta a eccitarsi per qualunque causa sballata, purché supportata da un corteo sufficientemente animato, meglio se concluso con cariche della polizia, con una logica che ormai, più che politica, è estetica.

E infatti cosa c'è di politico, e di sinistra, nell'eccitarsi, come fanno in Rete i vari Civati e Fratoianni, per la secessione della regione più ricca della Spagna? L'importante è avere una lucha da combattere, ovviamente hasta la victoria, lo slogan più incongruo che si possa immaginare in bocca all'area della sinistra che più delle altre è innamorata della sconfitta.

Ma la coerenza è un optional. Altrimenti come potrebbe andare d'accordo l'esaltazione per gli «eroi» catalani con la condanna per la Brexit? Perfino Corradino Mineo cita Ada Colau come la Bibbia e fa un unico fascio della «Guardia civil e i torturatori del G8 di Genova», proprio lui che scriveva di «catastrofe Brexit». Così Civati che ritwitta il leader di Podemos e sulla Brexit esortava a «non cedere alla paura» e analizzava un voto «figlio delle disuguaglianze e delle esclusioni», pur essendo così generoso e illuminato da scusare i poveri per aver votato in modo così scellerato. E già, perché ovviamente la democrazia per i piazzaroli di casa nostra, è sacra ma solo se l'esito del voto è gradito. In caso contrario il pueblo si è sicuramente fatto lavare il cervello dal perfido potere capitalista. Così dopo il voto inglese, un referendum legittimo in cui una maggioranza scelse liberamente a favore della separazione dell'Europa, visto dagli editorialisti di sinistra, era chiaramente un abbaglio frutto di disinformazione, votato soprattutto da gente poco colta, degli ignoranti e rozzi che, probabilmente storditi dalla troppa birra ale ingurgitata al pub, non avevano capito il quesito o le sue conseguenze. Imperdibili gli articoli di Repubblica i giorni successivi alla Brexit, pronti a raccontare il dramma interiore di tante persone che avevano 48 ore prima per il divorzio dall'Europa votato ma erano già pentiti, non avevano capito, erano stati sviati e corrotti dalle fake news. Invece il voto catalano, illegittimo, incostituzionale organizzato con una leggina approvata d'urgenza e votato da una minoranza di catalani senza controlli democratici, diventa il grido di ribellione di una popolazione coscienziosa e progressista, che si è espressa dopo aver studiato trattati di diritto costituzionale per abbattere «il regime».

Significative le parole d'ordine sui social.

Cos'è l'accusa di «franchismo» contro Rajoy se non la versione geolocalizzata del classico «dagli al fascista» che i nostrani eterni ribelli da salotto usano da anni per galvanizzare masse sempre più mini? I capi di questa sinistrina chiamano in causa, a sproposito, l'«autodeterminazione dei popoli» ma naturalmente non elogiano apertamente la secessione e mettono le mani avanti, perché a breve c'è il referendum di Lombardia e Veneto. La versione ufficiale per archiviare l'indipendentismo è già pronta: «Ma che c'entra, la Padania non esiste». E via verso, una nuova causa persa.

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