A sinistra la trattativa prosegue per finta. I padri nobili del Pd contro i bersaniani

Rutelli e Veltroni, come Prodi, invocano unità ma Mdp resiste In difficoltà Grasso e Boldrini. E la Cosa rossa litiga per i seggi

A sinistra la trattativa prosegue per finta. I padri nobili del Pd contro i bersaniani

Roma - La pantomima dell'unità a sinistra prosegue, senza alcuna convinzione da entrambe le parti.

Anche gli appelli dei «padri nobili» del Pd - ieri Veltroni e Rutelli, l'altro giorno Prodi - servono più che altro a rendere chiare le responsabilità del duo D'Alema & Bersani: se vinceranno il centrodestra o i grillini, lo avranno voluto loro, è il messaggio. Rafforzato da ricerche sul voto col Rosatellum come quella fatta da YouTrend per Reti: una quarantina di collegi dove il centrosinistra sarebbe in testa o competitivo potrebbero saltare se Mdp presenterà i suoi candidati, togliendo voti al Pd e regalandoli a Berlusconi o Grillo.

«La sinistra dovrebbe lavorare per non far vincere la destra - dice Veltroni - Se invece il problema è solo regolare i conti interni, a sinistra resteranno le macerie». Il pressing serve anche ad aumentare le difficoltà dei presidenti delle Camere: Boldrini e Grasso, in competizione tra loro, sono eccitati dall'idea di poter essere promossi a leader di qualcosa. Ma richiami come quelli di Prodi e Veltroni per loro sono più difficili da ignorare. Del resto non tutti nella sinistra scissionista sono entusiasti del loro arruolamento: «La Boldrini? Per ogni voto che ci porta ce ne toglie due», dice un esponente di Si.

La distanza politica tra Pd e scissionisti resta incolmabile, come dimostra anche la partita su Jobs Act e pensioni. Con la Cgil di Susanna Camusso che si adopera per i secondi: la rottura del sindacato con il governo ha ragioni tutte politiche. E non è un caso se Mdp e Sinistra italiana hanno spostato al 3 dicembre l'assemblea fondativa della loro lista unitaria (il terzo soggetto partecipante è Pippo Civati, più i due aspiranti leader in competizione, Boldrini & Grasso), che era prevista per il 2, stesso giorno del corteo Cgil contro l'esecutivo. Che ora funzionerà da «lancio» per l'iniziativa elettorale della sinistra anti Pd. Intanto Mdp porta in aula la sua proposta per smontare la riforma del lavoro e ripristinare l'articolo 18 estendendolo a tutte le aziende, comprese le microimprese familiari. Nel Pd è contrario persino un ex Fiom come Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro: «Invece di soffermarsi su un provvedimento che non ha alcuna possibilità di essere approvato entro la fine della legislatura - dice - si provi piuttosto ad affrontare il tema dei licenziamenti in modo più pragmatico, nella legge di Bilancio».

Domani la bislacca proposta di Mdp verrà con ogni probabilità rinviata in commissione, su richiesta dei dem e con il voto dell'aula, prima dell'esame. Quello stesso giorno è previsto l'incontro del «mediatore» Pd Piero Fassino con una delegazione degli scissionisti. Che hanno già fatto sapere che manderanno al meeting solo i capigruppo di Mdp e Si, sconosciuti ai più e non dotati di margini di autonomia politica. Incontro di circostanza, insomma. Che finirà per essere solo l'occasione per nuove polemiche.

Intanto anche dentro la sinistra anti Pd si alza la tensione sulla partita più sentita: le liste elettorali. Le quote stabilite a tavolino tra i vari partitini (40% a Mdp, 40 a Si e 20% a Pippo Civati) e ovviamente smentite dagli interessati, scontentano tutti. Senza contare che anche Montanari e Falcone (il diabolico duo del Brancaccio) vogliono seggi sicuri.

Nessuno si vuole candidare nei collegi, che verranno inesorabilmente persi, senza una rete di sicurezza nel listino bloccato. E i numeri sono quel che sono: «Se pure andasse bene e prendessimo il 4%, avremmo una ventina di deputati: quanti ne ha ora da sola Si», calcola un esponente di Mdp.

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