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"Una sola dose non protegge". La variante indiana spaventa: Londra frena sulla ripartenza

Una sola dose di vaccino non basta per arginare il dilagare della variante indiana. La strategia del distanziamento tra le due dosi scelta dal Regno Unito che in un primo momento sembrava vincente ora mostra le sue lacune

"Una sola dose non protegge". La variante indiana spaventa: Londra frena sulla ripartenza

Una sola dose di vaccino non basta per arginare il dilagare della variante indiana. La strategia del distanziamento tra le due dosi scelta dal Regno Unito che in un primo momento sembrava vincente ora mostra le sue lacune: per fermare la corsa della variante indiana occorre anche il richiamo.

La risalita della curva in Uk desta preoccupazione: in una sola settimana sono raddoppiati i casi conseguenti a questa mutazione del coronavirus tanto da far ipotizzare al premier Boris Johnson uno slittamento delle riaperture. Il 60 per cento della popolazione residente in Inghilterra ha ricevuto almeno una prima dose ma negli ultimi giorni sono finiti in ospedale anche soggetti che avevano ricevuto la prima dose di vaccino. E l'Rt, l'indice di contagio, per la prima volta è risalito sopra l'1.

La ragione è stata spiegata nello studio della Public Health England. I vaccini utilizzati nel Regno Unito Pfizer-BionTech e AstraZeneca sono «molto efficaci» contro la malattia sintomatica causata dalla variante indiana (B.1.617.2), ma solo dopo la seconda dose. Nella ricerca si evidenzia come con una sola inoculazione la protezione fosse appena del 33 per cento contro la variante indiana rispetto al 50 di efficacia contro la variante inglese. Con il richiamo il livello di protezione sale. L'efficacia del vaccino Pfizer, dopo due dosi, è pari all'88 per cento contro la indiana e al 93 con la variante inglese. Con AstraZeneca, l'efficacia scende al 60 per cento contro la variante indiana e al 66 contro la variante inglese.

Risultati confermati anche dallo studio di un gruppo di ricercatori dell'Istituto Pasteur di Parigi. Una sola dose sia di Pfizer sia di Astrazeneca non offre una protezione sufficiente.

Vaccinare in modo massiccio è l'unico argine alla corsa del coronavirus e alle sue mutazioni. E una nuova preoccupante variante è stata segnalata in Vietnam. L'allarme è stato lanciato dal ministro della Salute Nguyen Thanh Long. Si tratterebbe di un mix tra le varianti indiana e inglese e si sarebbe già rivelata molto più trasmissibile soprattutto per via aerea.

Qual è la situazione in Italia? Anche il direttore del Dipartimento di Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, conferma che «la variante indiana mostra una trasmissibilità più elevata rispetto a quella inglese» e anche se «non sembra diminuire in maniera sostanziale l'efficacia dei vaccini» occorrono «due dosi per proteggere bene dalla variante indiana».

Per Giorgio Palù, presidente dell'Agenzia italiana del farmaco, Aifa, la strategia di vaccinare con la prima dose più persone possibile non è sbagliata. «Noi abbiamo distanziato la seconda dose in base alla risposta clinica e immunitaria», dice Palù che sottolinea come la variante indiana sia presente in Italia «in meno dell'1 per cento dei casi».

Il problema dell'Italia per lo scienziato è un altro: la scarsa capacità di sequenziamento. In Inghilterra, osserva Palù «sono più attenti e se ne accorgono rapidamente: sequenziano il 50 per cento degli isolati virali, noi meno dell'1 per cento».

Questo significa che siamo molto meno in grado di individuare tempestivamente la diffusione delle varianti e l'eventuale insorgere di quelle nuove sostanzialmente perché non le cerchiamo. In media viene sequenziato lo 0,03 dei tamponi positivi contro, ad esempio, il 15 per cento della Danimarca e il 5 del Regno Unito.

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