Camilla Conti
Deflagra l'inchiesta sul gruppo Sole 24 Ore aperta in ottobre con il sospetto di falso in bilancio. Le novità sono eclatanti: 10 indagati, tra cui l'ex presidente Benito Benedini, l'ex ad Donatella Treu e l'attuale direttore Roberto Napoletano; un blitz della Guardia di Finanza in redazione e uno sciopero proclamato ad oltranza dai giornalisti del quotidiano di Confindustria finchè Napoletano non lascerà la poltrona.
Per quest'ultimo, Benedini e Treu l'ipotesi di reato è di false comunicazioni sociali. Gli altri sette indagati, accusati di appropriazione indebita, sono: l'ex direttore dell'area digitale, Stefano Quintarelli, attuale deputato di Scelta Civica; l'ex direttore finanziario, Massimo Arioli; l'ex direttore dell'area vendite, Alberto Biella; Filippo Beltramini, direttore di una società inglese (la Fleet Street News) controllata da Di Source Limited e responsabile dei rapporti con i clienti italiani della Di Source; il commercialista Stefano Poretti, il fratello del deputato, l'imprenditore Giovanni Quintarelli, e una decima persona di cui non si conosce ancora il nome.
Nel mirino, le cifre relative alla copie multiple digitali che hanno fatto discutere in questi mesi. Si tratta di quelle copie di giornali on line vendute in blocco alle aziende, che poi le distribuiscono a loro dipendenti piuttosto che clienti o fornitori.A dicembre, rispondendo a una richiesta di chiarimenti della Consob (il Sole è quotato in Borsa), i nuovi vertici dell'azienda - l'ad Franco Moscetti è arrivato a novembre - avevano precisato che rispetto alle 375 mila copie al giorno del bilancio del 2015, quelle vere sono state 248 mila. In sostanza, i numeri sarebbero stati gonfiati del 50% con il «sostegno alla diffusione» su cui appunto indagano i pm milanesi. Il Sole ha affidato un'analisi delle vendita del 2015 alla società indipendente Protiviti la cui verifica ha portato a una correzione di 18 mila copie giornaliere in edicola e 109 mila digitali, in gran parte distribuite attraverso Di Source. Il robusto aumento delle copie non è però stato accompagnato da maggiori ricavi ma da 3 milioni di perdite solo nel 2015.
Secondo quanto riportato nel decreto di perquisizione della procura, le vendite delle copie digitali del quotidiano economico per gli inquirenti sarebbero state «enfatizzate» con uno «scostamento tra la rappresentazione della realtà economica della società e la situazione effettiva». Si sarebbe perciò «veicolato un messaggio largamente positivo sull'andamento economico, laddove le vendite sul digitale tanto enfatizzate erano false e una percentuale significativa delle quote cartacee andava dritta al macero». Quanto al reato ipotizzato di appropriazione indebita, tre ex dirigenti avrebbero intascato una somma di circa 3 milioni grazie all'assegnazione alla società anonima inglese Di Source del compito di promuovere la diffusione di copie digitali all'estero. Di Source avrebbe esercitato un'attività soltanto virtuale, anche attraverso intestazioni fittizie, e avrebbe avuto alla fine un saldo positivo di 3 milioni, con un giro d'affari che ha prodotto per il Sole 15 milioni di entrate ma anche 18 milioni di uscite, tra il 2013 e il 2015. Gli ex manager, ritenuti «soci occulti» di Di Source, si sarebbero spartiti questa cifra assieme agli altri anche con un giro di fatture e società estere. Perchè, però, indagare anche Napoletano? I magistrati milanesi puntano a verificare se, e come, il ruolo del direttore responsabile ha inciso sulle strategie e sulla gestione dell'azienda considerando le altre cariche da lui ricoperte all'interno del gruppo di cui è anche direttore editoriale.
I nuovi vertici della società editoriale ribadiscono in una nota la piena collaborazione ai magistrati. E Confindustria conferma la fiducia nella magistratura chiedendo «ampia chiarezza» sui fatti contestati.
Durissima, invece, la reazione dei giornalisti che in un comunicato hanno definito quella scritta ieri «la pagina più buia nella storia del Sole 24 Ore». Perchè è «inammissibile che il giornale della finanza, dell'economia, del diritto, possa andare in edicola con la firma di un direttore indagato».
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