"Sono saltati gli equilibri. È un conflitto nuovo e può sfuggire di mano"

L'ex ministro degli Esteri: "La deterrenza nucleare funziona meno che in passato"

"Sono saltati gli equilibri. È un conflitto nuovo e può sfuggire di mano"

Gli equilibri sono saltati. «È difficile parlare di questa guerra - spiega Vincenzo Scotti, politico di lunghissimo corso, ministro degli Esteri nel '92 - Siamo entrati in una terra incognita e l'Occidente combatte contro la Russia con strumenti tradizionali, ma è evidente la difficoltà di tutti a muoversi in un contesto così difficile, così drammatico, così feroce. E in sostanza inedito».

D'accordo, ma ci sarà pure un punto su cui far leva per trattare.

«Se c'è, è difficile individuarlo. Ora per esempio ci sono state le espulsioni».

Scusi, ma non c'erano anche nel passato, quando lei era alla Farnesina?

«Certo, ma allora si cacciavano alcune spie ed era finita lì».

Oggi?

«Tanto per cominciare, gli stessi provvedimenti sono stati presi anche in Germania e Francia. È una catena internazionale».

Dentro una partita a scacchi?

«Mah. Nel Dopoguerra c'era un equilibrio del terrore. Ora mi pare che questa escalation sia sempre più difficile da gestire. Si mette pressione al nemico e si aumenta sempre di più la spinta. Ma fino a quando?».

Fin dove si arriverà in questo match con colpi sempre più forti da una parte e dall'altra?

«È questo il punto. Noi applichiamo logiche vecchie a situazioni che non si sono mai verificate».

A Cuba nel 1962 si sfiorò l'apocalisse.

«Un'altra epoca. La Guerra fredda aveva vincoli e limiti: Kennedy riuscì a bloccare l'Unione Sovietica che rinunciò a installare i missili. Ma oggi non c'è una minaccia, c'è un'aggressione in corso, con dentro una vena di follia, e certi paragoni sono comodi ma non è detto che servano per risolvere i problemi».

La deterrenza nucleare?

«Pare impossibile, ma è un'arma che almeno sulla carta funziona meno rispetto agli anni Settanta o Ottanta. Non c'è più una grammatica comune, sia pure con il Muro in mezzo, e regole generali di convivenza internazionale. Dovremmo anche capire l'obiettivo che Putin si è posto. Si leggono diverse ipotesi sui giornali, ma le motivazioni di questo massacro non sono così chiare. Non sappiamo con esattezza dove vuole arrivare il regime di Mosca».

La mediazione prima o poi riprenderà?

«Certo, ma siamo molto indietro. Siamo all'elenco dei nodi da sciogliere, ma non mi pare che, almeno per quel che si sa, si sia andati avanti sui singoli punti».

Sarà una guerra lunga o finirà presto?

«È circolata, trapelando dagli apparati militari russi, la notizia che tutto sarebbe finito entro il 9 maggio. Ma non abbiamo elementi certi per sostenere questa tesi. La verità è che siamo, almeno in parte, al buio e facciamo fatica ad illuminare questa notte. Una volta le guerre si svolgevano lontano: in Medio Oriente o in Africa, ora le armi sparano dentro l'Europa e non abbiamo un'unità di misura per valutare con lucidità quel che sta accadendo».

Dopo le espulsioni, che altro succederà?

«Nulla sembra bastare per costringere l'avversario a mollare la presa e allora si alza ancora il livello delle sanzioni che provocano contraccolpi pesantissimi ovunque, anche a casa nostra, in un mondo sempre più intrecciato. È giusto andare avanti, non ci sono alternative, ma dobbiamo attrezzarci per immaginare un copione nuovo. Certo, le speranze che coltivavamo trent'anni fa non si sono realizzate».

Lei incontrò Eltsin?

«Sì, a una cena del G7 a Monaco, quando ero

ministro degli Esteri del governo Amato. Eltsin, seduto al mio fianco, era assai teso e preoccupato: si trattava di portare la Russia dal comunismo all'economia di mercato. Finì come sappiamo: fu Eltsin a essere fatto fuori».

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