Spartizione Putin-Erdogan. L'Italia fatta fuori dalla Libia

Inutile il vertice con la Ue. Oggi l'unico summit che conta. Turchia e Russia si divideranno gas e petrolio

Spartizione Putin-Erdogan. L'Italia fatta fuori dalla Libia

Per capire la vacuità di un governo giallo-rosso ridottosi a confidare nell'Unione Europea per evitare un mesto addio alla Libia basta il resoconto della giornata di ieri. Mentre il generale Khalifa Haftar spazzava via le ultime difese di Sirte e avanzava verso ovest arrivando a cento chilometri da Misurata il ministro degli esteri Luigi Di Maio volava a Bruxelles per un colloquio con l'Alto Commissario Ue per la politica estera Josep Borrell e gli omologhi di Francia, Germania e Inghilterra. Un colloquio assolutamente irrilevante visto che neppure il francese Jean-Yves Le Drian, abituato a manovrare Haftar per conto del presidente Emmanuel Macron, tiene più a bada l'uomo forte della Cirenaica. La futilità dell'iniziativa traspare dalle dichiarazioni conclusive. «La situazione peggiora di giorno in giorno - ammette Borrell - siamo d'accordo che la soluzione per la Libia è politica e perciò è necessario fermare la battaglia a Tripoli e attorno a Tripoli». Ma per capire che la situazione peggiora serviva un vertice in cui non è stata abbozzata alcuna soluzione pratica? Di Maio faceva meglio a risparmiar tempo e affrontare assieme al premier Giuseppe Conte e al ministro della Difesa Lorenzo Guerini la questione dei 300 militari italiani costretti a sopravvivere come topi nei bunker intorno all'ospedale da campo parcheggiato all'aeroporto di Misurata. Un aeroporto dove i missili dei droni di Haftar continuano a scavare nuovi crateri nonostante la cornice di sicurezza garantita da droni, forze speciali e navi di Mare Sicuro. Un attacco capace di mettere a repentaglio la loro sicurezza ci costringerebbe ad un umiliante ritirata pregiudicando ulteriormente la nostra già compromessa credibilità politica e militare. In tutto questo Di Maio preferisce invece dispensare un inspiegabile ottimismo. «Le iniziative dell'Unione Europea da domani vedranno un cambio di passo» - spiega annunciando, per oggi, una trasferta mattutina ad Ankara, dove incontrerà l'omologo turco, e una serale al Cairo per consultazioni con quello egiziano. Incontri importanti, ma certamente non decisivi. L'unico summit veramente dirimente per i destini libici è infatti l'incontro di oggi, sempre ad Ankara, tra il presidente turco Recep Tayyp Erdogan e quello russo Vladimir Putin per l'inaugurazione di Turkstream, la conduttura destinata a portare il gas di Mosca ad Ankara. Se un'alternativa alla guerra ancora esiste salterà fuori da lì. Di certo, però, non porterà nulla di buono né all'Italia, né ad un'inconcludente Unione Europea condannata, come in Siria, ad assistere ad una pragmatica spartizione. Erdogan vuole il petrolio e il gas della Libia, compresi quelli dell'Eni, per svincolarsi dalla dipendenza energetica che grazie anche al Turkstream, lo lega al Cremlino. Lo Zar, che sostiene Haftar, ma tratta anche con Serraj, è pronto a concedergliene solo una piccola parte. E solo se il Sultano scenderà a patti sulla Siria facendosi carico dei dodicimila alqaidisti ancora presenti nella provincia siriana di Idlib e riconoscendo la piena sovranità di Bashar Assad. A quel punto Erdogan potrà tenersi Tripoli e Misurata. Mosca potrà, invece, sviluppare le concessioni ottenute un decennio fa da Gheddafi grazie anche all'intercessione di un'Italia forte, al tempo, del ruolo di potenza di riferimento.

Concessioni incentrate sullo sfruttamento dei giacimenti petroliferi di Sirte e sulla costruzione delle ferrovia destinata a collegare la stessa Sirte con Bengasi. Una Sirte liberata, guarda caso, proprio alla vigilia del summit di Ankara.

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