La bandiera bianca sventolata dal ministro Tria sul balcone di Palazzo Chigi alla faccia degli «Hurrah!» dei Cinquestelle è la conferma che il governo gialloverde ha rotto gli argini perché - con il rapporto deficit/Pil al 2,4% come preteso dal tandem Di Maio-Salvini - venerdì le ripercussioni sono state immediate sui mercati finanziari. E per fortuna che, al ministero dell'Economia, non siede, almeno ufficialmente, l'euroscettico Savona: in quel caso dove saremmo arrivati?
È vero, se il fantomatico rapporto si fosse davvero fermato al 2%, come il ministro dell'Economia tuttora in carica sembrava disponibile ad arrivare, non sarebbero stati disponibili almeno 5 miliardi che, invece, servono per mantenere qualche promessa fatta agli elettori da Cinquestelle «in primis» e Lega, ma, tirando così la corda, «l'effetto-boomerang» rischia di essere devastante per le nostre casse. Possiamo anche fare spallucce alla prevista procedura d'infrazione dell'Europa che conta sempre meno tra i vari «partner»; non dobbiamo, però, ignorare le conseguenze di un nuovo calo di fiducia degli investitori. E Di Maio sbaglia, quando dice di voler «fare come Macron» e salire vertiginosamente nel rapporto deficit/Pil, alla faccia dell'«austerity», per il semplice motivo che i conti italiani non possono essere certo paragonati a quelli francesi. Bastano poche cifre: degli 850 miliardi di euro che escono ogni anno dalle casse d'Italia Spa (qualcosa come 2 miliardi e 300 milioni al giorno, poco meno di 100 milioni di euro all'ora), quasi la metà (400 miliardi) è finanziata dalla vendita dei titoli di Stato. Sono soldi in prestito che risentono ovviamente delle oscillazioni del mercato, con contraccolpi piuttosto evidenti: un aumento di cento punti dello «spread» ci costa qualcosa come 4 miliardi in più di interessi da pagare.
Passare, dunque, dal 2 al 2,4% non è soltanto una questione di qualche decimale in più anche perché il vicepremier grillino non sembra tenere conto della differenza tra spese ed investimenti. Prendiamo, appunto, il caso del reddito di cittadinanza che sarebbe anche stato il benvenuto se le casse pubbliche fossero miracolosamente in nero: in questa situazione, invece, finiamo per aumentare la spesa «tout court» in modo scriteriato. I sussidi non possono prescindere dal quadro generale e anche il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, dice al Giornale: «Deve essere chiaro che l'unico modo per risolvere la questione sociale è avere attenzione a quella economica».
Non è proprio un fatto secondario tenendo anche presente in che modo lo Stato ripartisce le uscite: all'incirca due terzi vanno in pensioni, retribuzioni dei dipendenti pubblici e sanità mentre, per tutto il resto, rimangono 240 miliardi. E pensare che, solo pochissimi giorni fa, il povero Tria aveva dichiarato: «Dobbiamo dare un segno ai mercati finanziari, a coloro che ci prestano i soldi».
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