Lo spettro di Chernobyl manda a picco i mercati. Russia più vicina al crac

Bruciati 393 miliardi (Milano -6,2%). Mosca rischia pure i fondi Fmi, allarme sulla ripresa

Lo spettro di Chernobyl manda a picco i mercati. Russia più vicina al crac

In direzione ostinata e contraria non si può andare. Sui mercati domina un pensiero unico e basico, un istinto primordiale in cui la parola d'ordine sopravvivenza ha fatto da innesco ieri alla grande fuga dai titoli azionari. È l'ennesimo venerdì nero nella storia delle Borse, ma questa volta è marchiato a fuoco dai crolli in Europa, dove il rischio di una catastrofe nucleare è più avvertito che altrove dopo l'attacco russo alla centrale atomica di Enerhodar. Da Milano (-6,2%) a Berlino (-4,4%), da Parigi (-4,97%) a Londra (-3,2%), i listini si sono accartocciati come cartapesta, sacrificando 393 miliardi di euro di capitalizzazione.

Sui listini non c'è collante che tenga, non una reazione positiva neppure alla decisione presa dalla Svizzera, sempre meno neutrale, di bloccare i conti degli oligarchi. Scivola via pure l'ipotesi che Usa e Unione europea riescano a estromettere Mosca dai finanziamenti del Fmi, da cui ha ricevuto 14 miliardi di dollari l'anno scorso. Spaventa, semmai, la notizia che la probabilità di default di Mosca è su livelli di guardia, con i credit-default swap (lo scudo contro la bancarotta) sul debito russo a cinque anni sono volati a 1.584, un valore che implica una probabilità implicita di insolvenza del 67%. Bloomberg spiega quanto sta accadendo fra gli investitori con un'alterazione della liquidità. Talmente elevata, da provocare movimenti dei prezzi esasperati non appena partono ordini di dimensioni decenti. L'analogia, amara, è questa: la distanza fra domanda e offerta è la stessa che separa Putin dagli altri leader. E ciò non promette nulla di buono.

Anche perché il rovescio della medaglia è il continuo movimento ascensionale delle materie prime. Inarrestabile e minaccioso come il rotolare dei barili di petrolio sopra i 114 dollari nel formato Brent (+3,7%) e oltre la soglia dei 111 nell'etichetta Wti (+3,7%). E potrebbe essere solo un assaggio di quanto potrebbe accadere nelle prossime settimane. Jp Morgan ipotizza prezzi del greggio a 180 dollari in caso di interruzione delle forniture russe per un anno intero. Uno scenario catastrofico che andrebbe a sommarsi ai prezzi già fuori controllo del gas, salito ad Amsterdam a 188,35 euro al megawattora (+17%) dopo che Reuters ha riferito di un'interruzione dei flussi di metano nel gasdotto Yamal che collega la Russia all'Europa e alla Turchia. Continuano inoltre a soffiare sul fuoco dell'inflazione i rincari del grano, le cui quotazioni hanno toccato il prezzo record di 400 euro la tonnellata, con un incremento del 38% in una settimana. Ma questa non è una partita win-win. Perdono tutti. Se Jp Morgan dice chiaro che l'economia russa rischia un tracollo peggiore di quello visto dopo il default del debito nel 1998, Moody's sottolinea che «l'escalation del conflitto militare metterebbe a rischio la ripresa economica dell'Europa». Christine Lagarde è attesa la prossima settimana alla prova del fuoco: dovrà dire con chiarezza cosa la Bce intende fare.

Ma c'è chi guarda oltre il futuro prossimo venturo. Freight Waves, l'organizzazione focalizzata sul trasporto merci, prefigura la concreta possibilità di «un'economia globale biforcata, in cui le alleanze geopolitiche, i flussi energetici e alimentari, i sistemi valutari e le rotte commerciali potrebbero dividersi».

Ciò implicherà una riscrittura delle catene di approvvigionamenti, con le aziende orientate a dare la priorità a fornitori affidabili e con costi maggiori che si scaricheranno sui consumatori. In parole povere, addio mercato globale: si torna al piccolo mondo antico.

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