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Lo stile Gentiloni: tifare in silenzio per Matteo

Solo un tweet dal premier. E Delrio paragona il rottamatore a Maradona: «Interpreta il nostro sogno»

Lo stile Gentiloni: tifare in silenzio per Matteo

dal nostro inviato a Torino

Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha una grande qualità: quando arriva non ti accorgi nemmeno che c'è. Se non fosse stato, infatti, per il ministro dell'Interno Marco Minniti che dal palco del Lingotto ha interrotto il suo intervento, salutando il premier seduto in prima fila accanto a Piero Fassino, nessuno si sarebbe accorto della sua presenza (anche perché è passato dal retro). Che dopo anni di Renzi che ti compariva pure nel giardino di casa, non può essere vista che come una qualità. Anche ieri non ha spiccicato parola, limitandosi a un laconico tweet, risparmiando anche sui 140 caratteri a disposizione: «Oggi al Lingotto più forza al Pd per il futuro dell'Italia». Stop.

Neppure il tempo di chiedersi cosa ci facesse l'attore di fiction Sebastiano Somma tra le sedie della kermesse renziana o Paola Concia seduta in sala stampa, che dal palco rimbomba l'accento francese di Cécile Kyenge, anche se nessuno ricorda una parola di quello che ha detto. Parole dure contro i fuoriusciti, i traditori, gli ex. «Io non sono un ex, non mi sento un ex!», grida forte l'ex ministro Luigi Berlinguer (85 anni).

Per Minniti «la sinistra per troppo tempo ha mangiato i suoi figli, dobbiamo liberarci da questa sindrome». E Debora Serracchiani non si fa dare lezioni «da chi ha ucciso l'Ulivo e ora tenta di uccidere la sinistra italiana». Fuori per sempre, dunque Speranza, Emiliano e Rossi («Speranza avrebbe fatto bene a venire al Lingotto, dai suoi vecchi amici. Quando ha avuto bisogno di voti qui li ha sempre trovati», polemizza il sindaco di Firenze, Dario Nardella).

Per Guerini «è un errore parlare di alleanze adesso, rischiamo di fare un discorso molto politicistico, non sappiamo qual è la legge elettorale. Concentriamoci sulle nostre proposte». Anche se per molti la strizzatina di occhio di Giuliano Pisapia e del suo Campo progressista rappresenta un bocconcino molto appetitoso, per non parlare di Dario Franceschini il quale, essendo si già trovato bene, auspicherebbe larghe intese con il centrodestra. Mai e poi mai per la Serracchiani che è sì piccolina, ma per queste cose diventa una belva: «La sinistra vuole cambiare il mondo, la destra vuole lasciare tutto così com'è». Per Stefano Bonaccini che sente le parole di Pisapia come musica, «andarsene è un errore, un errore sempre. Soprattutto di fronte a una società che rischia di consegnare a una destra regressiva e populista o al populismo a 5 stelle il governo del paese».

Che poi sapere chi vincerà le primarie del 30 aprile, è facile: basta seguire il ministro Marianna Madia. Veltroniana, dalemiana, franceschiniana, lettiana, renziana, lei che ha collezionato poltrone su poltrone, sa sempre da che parte andare e con chi stare. E ieri era al Lingotto. La sua vocina stridula riecheggiava nell'hangar per lanciare massime di vita del tipo, «il Pd deve fare una sola cosa, essere credibile». Per lo meno quanto lo è stata lei in questi anni. Che fa pari con lo spot di Matteo Orfini, «la sinistra siamo noi».

Passa in rassegna mezzo governo, ma è Graziano Delrio a superare se stesso paragonando Renzi a Maradona. «Renzi è l'interprete del nostro sogno. Quando giocava il Napoli nessuno aveva paura di mettere in campo Maradona, nessuno si preoccupava che giocava troppo, giocava una squadra ma senza Maradona il Napoli non vinceva scudetto». Ma la lacrimuccia la fa cadere Matteo Richetti: «A Matteo voglio troppo bene per non dire qualcosa: non ti voglio mai più sentire dire se perdo, perdo io, se vinciamo vinciamo noi. No, vinciamo e perdiamo insieme».

È vero, per la grande famiglia del Pd, l'unico vero leader è ancora Renzi. Lo conferma anche Eugenio Giani, presidente del Consiglio Regionale della Toscana, prossimo candidato a governatore della Regione, che lo conosce dai tempi del Comune e che ancora segue, «malgrado quel posticino da sottosegretario promesso da Matteo e mai arrivato». Ma il popolo del Pd non porta rancore. Anche se la derenzizzazione è in atto, non esiste nessuno migliore di lui. Almeno per il momento.

«Basta che ora vada nel verso giusto», borbotta fuori un vecchietto andando via.

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