La storia capovolta di New York: finalmente crocevia del potere

Primarie Usa, riflettori puntati sulla Grande Mela. A differenza di quanto crediamo noi, di solito la città conta poco. Ma stavolta... Tutti e tre i "big" legati alla metropoli. Favoriti Clinton e Trump

La storia capovolta di New York: finalmente crocevia del potere

Quando noi italiani (ed europei) diciamo America, intendiamo New York, e quando intendiamo New York intendiamo Manhattan e ci fermiamo lì. Fra la Fifth Avenue e il Village, gli americani considerano New York un frammento d'Europa rimasto a sfavillare sull'Atlantico, ma per loro politicamente parlando è molto più importante la cintura degli Stati industriali e del Sud. Stavolta, oggi per chi legge, New York detta legge, comanda, «rules and rocks» perché si è dato un trigono eccezionale come in astrologia: tre su quattro dei protagonisti sono legati a New York. L'unico intruso è il repubblicano del Texas senatore Ted Cruz, un uomo alla destra dei faraoni, per il quale l'aborto non è lecito neanche dopo uno stupro o un incesto e che vuole una politica più reazionaria che liberale, rispetto a «The Donald», il Trump rampante che dovrebbe vincere in casa dopo aver tanto penato nelle ultime prove elettorali in cui il suo partito ha speso milioni in pubblicità denigratoria per farlo fuori.

Bernie Sanders, appena rientrato dalla sua gita in Vaticano che ha trovato «commovente», è apparso con il figlio in giro per Brooklyn parlando bene del Papa (il quale si è limitato a stringergli la mano, ma che gli ha fornito una grande Photo Opportunity) e dunque incassando dividendi dall'elettorato bianco di sinistra di origini cattoliche anche se non praticante. Sanders, figlio di ebrei ucraini, è un uomo dei sobborghi al di là del ponte, la sua storia potrebbe essere raccontata con la penna di Philip Roth, il quale scrive sull'altra riva nel New Jersey. E insomma per il «socialista» Sanders che politicamente viene dal Vermont è una bella occasione di rimpatrio da cui si attende solo fama e gloria, ma pochi voti. Fama e gloria già cominciano ad affluire sul suo nome perché l'attempato «sessantottino» ha deciso di prendere a schiaffi la Clinton in ogni dibattito, accusandola di essere al servizio di Wall Street e del capitale e perfino ingiuria mortale di non essere all'altezza dell'ufficio di «commander in chief». Hillary c'è rimasta male all'inizio, ma poi ha reagito con classe: «Considero Sanders all'altezza dell'ufficio e comunque una spanna sopra qualsiasi repubblicano».

New York è invasa dalla politica. Tutte le televisioni, gli anfratti mediatici, le bettole di lusso e le edicole per strada quelle ruspanti come i carretti di hot dog, non le imponenti news stand gestite dai pakistani con tonnellate di riviste e libri rimbombano gli echi di queste giornate elettorali. Il candidato Trump, come abbiamo detto, dovrebbe farcela con largo margine eclissando il nemico Ted Cruz. È popolare fra i colletti bianchi e i colli rossi e difficile da immaginare in Europa è considerato un candidato molto più tranquillo di quanto le sue infelici uscite e il fragore della sua retorica facciano immaginare. Trump ha mobilitato tutte le sue strutture, la famiglia, la figlia e la moglie, con i maschi che stravedono per papà e l'insieme ha un effetto molto più americano e rassicurante di quanto non sia quello riverberato da Cruz che di latino ha soltanto il nome e l'origine e che sembra figlio di un'America protestante cupa, intransigente, potenzialmente incline alla guerra. Sta di fatto che a Trump piace Putin e che a Putin piace Trump.

Il dossier della politica estera in questi giorni sta passando in secondo piano, ma se guardiamo a ciò che accade a pochi mesi dalle convenzioni repubblicana e democratica, c'è da stare poco allegri. Tutti gli analisti delle agenzie di intelligence vedono una nube nerissima sulla pace che potrebbe scatenare la sua tempesta intorno al 2020. Hillary Clinton, senatrice dello Stato di New York e dunque protagonista di queste giornate, è considerata una dura o almeno intransigente: più flessibile con l'Iran che con la Russia, benché prometta fuoco e fiamme su Teheran qualora il governo di quel Paese non ottemperi le condizioni dell'accordo sul nucleare. L'intero partito repubblicano, i quadri tradizionalisti e conservatori del Grand Old Party appartengono alla vecchia scuola del contenimento russo, a prescindere dalle ideologie. E questo establishment rosso (in America il rosso è il colore della destra, non della sinistra) è molto in ansia per i sentimenti distensivi di Donald J. Trump verso Mosca. Ormai tutti pensano che anche con una smagliante vittoria in casa, Trump non ce la faccia a raggiungere un numero di delegati tale da ottenere l'investitura automatica del partito. La convenzione repubblicana con molta probabilità si sceglierà un candidato dopo molte ore fumose a porte chiuse nelle segrete stanze.

E chi potrebbe essere il prescelto della cupola del GOP? Quasi certamente Cruz che ha promesso l'abolizione dell'aborrito Internal Revenue Service, il fisco senza cuore che ti viene a bussare alla porta per vedere se davvero tua figlia porta l'apparecchio per i denti per cui hai chiesto la detrazione sostituito da moduli leggeri e senza troppe domande che non facciano venire i brividi al tax payer, il contribuente sovrano ormai in rivolta con lo Stato federale.

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