La strada europea di Mattarella: "Dialogo, no ai nazionalismi"

Il capo dello Stato a cento anni dalla fine della Grande guerra ammonisce: "Nessuno Stato ce la farà da solo"

La strada europea di Mattarella: "Dialogo, no ai nazionalismi"

Le Frecce Tricolori sul Vittoriano, la commozione a Redipuglia, il bagno di folla a Trieste, «città metafora delle contraddizioni del Novecento». Cent'anni dopo la fine della Grande Guerra, sul palco montato in piazza Unità d'Italia, Sergio Mattarella spiega che quella europea è l'unica prospettiva possibile per assicurare lunga vita alla democrazia. «Bisogna ribadire con forza tutti insieme che, alla strada della guerra, si preferisce coltivare amicizia e collaborazione, che hanno trovato la più alta espressione nella storica scelta di condividere il futuro nella Unione europea». Dobbiamo evitare, dice il capo dello Stato, di fare gli errori di un secolo fa, quando lo scoppio del conflitto nel 1914 «sancì l'incapacità delle classi dirigenti europee di allora di comporre aspirazioni e interessi in modo pacifico anziché cedere alle lusinghe di un nazionalismo aggressivo».

Dunque, Europa e nazionalismo esasperato, il polo sud e il polo nord, il bianco e il nero. Eccolo l'ossimoro sul quale in questo periodo il capo dello Stato torna spesso. Le celebrazioni solenni del 4 novembre sono l'occasione giusta per un nuovo richiamo alle ragioni virtuose dell'Europa, alla «condivisione», allo stare «insieme», in contrapposizione al sovranismo tanto di moda negli ultimi tempi. E in settimane segnate dal duro scontro del governo con Bruxelles sui conti pubblici e sulla Finanziaria, il tema è diventato piuttosto ricorrente nei discorsi del presidente.

Mattarella, nella partita sulla manovra, fa il tifo per l'Italia. Il «patriottismo» del Quirinale si è visto quando ha chiesto a Pierre Moscovici di trattare con Palazzo Chigi perché comunque non si può pensare di «umiliare» un Paese fondatore della Ue. Però attenti a non fare confusione. «L'amor di patria - si legge in un'intervista al Corriere della Sera - non coincide con l'estremismo nazionalista. Viene da più lontano, dal Risorgimento, che si lega alla Resistenza, e oggi è inscindibile con i principi della nostra Costituzione». E la Carta bandisce la guerra come sistema per risolvere le dispute.

Il capo dello Stato parla a Trieste e al suo fianco ci sono i rappresentati delle nazioni con cui cent'anni fa abbiamo combattuto. Ma ora si deve lavorare insieme perché «nessuno Stato ce la farà da solo». Non solo. «Le democrazie hanno bisogno di un ordine internazionale che assicuri cooperazione e pace, altrimenti la forza dei loro presupposti etici, a partire dall'inviolabilità dei diritti umani, rischia di diventare fragile di fronte all'esaltazione del potere statuale sulla persona e sulle comunità».

La Grande Guerra non risolse i problemi. Anzi, dopo arrivarono totalitarismi. Non siamo nella stessa situazione, Mattarella non crede alle derive fasciste. «Non torneremo agli anni Venti o agli anni Trenta. Non temo la ricomparsa degli stessi spettri del passato, pur guardando con preoccupazione a pulsioni di egoismi e supremazie di interessi contro quelli degli altri». Adesso, sostiene, «l'Europa si è consolidata» nella coscienza di cittadini, «molto più di quanto non dicano le polemiche legate alle necessarie, faticose decisioni comuni nell'ambito degli organismi dell'Ue».

Chiude così, nella giornata delle Forze armate: «Gli errori gravi ed evitabili delle classi dirigenti del secondo decennio del Novecento e una conduzione della guerra dura e spietata degli altri comandi non possono mettere in ombra comportamenti eroici dei soldati e gli enormi sacrifici compiuti in nome dell'ideale della patria».

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