Sul Pd incombe l'ombra di altri "casi Tocci"

Tocci conferma le dimissioni. Guerini riprende chi non ha detto "sì" alla fiducia: "In discussione i vincoli di relazione co la ditta". Ma Civati: "Non siamo un soviet"

Sul Pd incombe l'ombra di altri "casi Tocci"

All'indomani della battaglia sul Jobs Act, a Walter Tocci, Matteo Renzi tributa l’onore delle armi. E promette che si spenderà per evitare che quell’addio annunciato ieri a Palazzo Madama sia portato alle estreme conseguenze. Stefano Fassina, invece, lascia intendere che Tocci potrebbe non essere l'unico parlamentare piddì ad abbandonare le istituzioni per protestare contro la fiducia alla riforma del lavoro. E, se il premier sottolinea che il senatore dimissionario è stato, almeno, conseguente a convinzioni personali e disciplina di partito, Lorenzo Guerini avverte chi è rimasto a metà del guado: pur non essendosi messo fuori del partito, ha certamente messo in discussione il vincolo che lo lega alla "ditta". Lo strappo di ieri non è, dunque ricucito. Se ne occuperà la prossima direzione.

Anche oggi, al suo arrivo in segreteria, Renzi ci tiene a ribadire che, accanto alla soddisfazione del primo "sì" al Jobs Act,"rimane l’amarezza per le immagini" dei disordini di Palazzo Madama. "Continuare a fare le sceneggiate di ieri è un problema soprattutto per loro", dice agli intemperanti, ai lanciatori di fascicoli o dispensatori di monetine contro i ministri. "Ma noi andiamo avanti tranquilli", assicura il presidente del Consiglio che non fa nulla per nascondere il proprio fastidio nei confronti della minoranza piddì. Perché sa bene che il braccio di ferro non è stato vinto. Ha portato a casa una battaglia, questo sì. Ma la guerra interna al Nazareno non è stata affatto vinta. "Secondo me adesso la minoranza Pd è molto più debole", ammette Corradino Mineo, uno dei senatori democrat che ieri non hanno partecipato al voto di fiducia. "Io, il maxiemendamento, l’ho letto, e non prende neanche tutte le promesse fatte nella direzione del Pd - incalza Mineo - così il parlamento non conta più".

Adesso sul Nazareno incombe, tuttavia, l'ombra, di altri "casi Tocci". "Dipenderà molto dalla disponibilità del presidente del Consiglio - minaccia Stefano Fassina - ad ascoltare posizioni che non isolate e personali, ma condivise da pezzi significativi del nostro mondo e degli interessi economici e sociali che rappresentiamo e vogliamo continuare a rappresentare". Fassina segnala polemicamente di essere in sintonia con la dottrina sociale della Chiesa e l’Evangelii Gaudium di papa Francesco: "Non la trovo certo con le parole di Renzi che recupera il linguaggio dei conservatori...". Eppure sullo strappo di Tocci sembra apprezzare le parole di Renzi che, nelle ultime ore, si è detto disponibile a far convivere posizioni diverse all'interno del partito. "Se queste sono le intenzioni - spiega Fassina - abbiamo tutto il tempo per valutare".

Nonostante le rassicurazioni di Renzi, il Pd resta visibilmente frammentato. "Non partecipare al voto di fiducia mette in discussione i vincoli di relazione con il proprio partito politico", tuona Guerini puntandi il dito contro i senatori Felice Casson, Lucrezia Ricchiuti e Corradino Mineo. "Non sono fuori dal partito - precisa l'ultrà renziano - poi ne discuteremo anche in direzione". La defezione dovrà, tuttavia, essere affrontata dal gruppo piddino a Palazzo Madama.

"Non si può avere un partito all'americana, con eletti con le primarie - commenta il ribelle Pippo Civati - e poi immaginare che ci sia una disciplina di stampo sovietico". Insomma, la secessione non è ancora stata scongiurata.

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