Roma - Il mantra di queste ore è riassunto nelle parole di Matteo Orfini: «Nei prossimi quindici giorni il Pd si gioca tutto». Da un lato la squadra per il Quirinale messa in piedi dal premier Renzi deve iniziare il giro di «consultazioni» con le opposizioni e con gli alleati di governo, dall'altro le Camere sono impegnate a rispettare le tabelle di marcia dell'approvazione dell' Italicum e della riforma del Titolo V della nostra Carta costituzionale. Solo allora potranno davvero, senza tema di smentita, gridare a gran voce di essere passati dalle parole ai fatti. Due tavoli difficili, per due battaglie che potrebbero davvero cambiare il corso della «guerra». Renzi manda quindi avanti il suo omonimo (e quasi coetaneo presidente del Pd) per un maschio rappel à l'ordre . Nelle prossime due settimane, tuona Orfini, «si deve concludere il percorso delle riforme alla Camera e al Senato» e si deve mandare un nuovo inquilino al Quirinale. Come a dire che la frase sibillina di Renzi di pochi giorni fa («il presidente verrà eletto alla quarta votazione») è più di un vaticinio e anche più di una promessa. E il richiamo di Orfini serve soprattutto per esorcizzare i veti sia dei partiti avversari sia dell'opposizione interna nel corso delle votazioni per il successore di Napolitano. L'opposizione interna ha infatti paura che dal quarto scrutinio le resistenze di chi non condivide la linea della direzione possano essere piegate con l'accordo di qualche partito che, di fatto, li sostituirebbe nell'agio del voto segreto. Orfini, quindi, mette in guardia dal «tentativo di scaricare sulle istituzioni le tensioni interne». «Dobbiamo dimostrare che il Pd è forte - si augura - e che è in grado di gestire questa fase delicata e scelte difficili». Le difficoltà del momento sembrano riassunte anche dallo scenario inedito. È il primo Parlamento che si trova per la seconda volta nella condizione di scegliere un presidente della Repubblica. E la paura di passi falsi come quelli che hanno portato alla rielezione di Giorgio Napolitano è quasi paralizzante. Soprattutto tra le file dei democratici che ora aprono il dialogo con tutti ma che si fanno realisti circa le scarse probabilità di arrivare al voto ai primi tre scrutini.
Chiamarla fase delicata è quasi un eufemismo. Almeno secondo l'opposizione interna che non intende cedere di un passo almeno per la riforma elettorale. Da un lato Gianni Cuperlo frena l'entusiasmo di Orfini e della ministra Maria Elena Boschi che su Twitter cinguettava ieri mattina: «Alcuni partiti chiedono di fermare le riforme. Ma sono state ferme per vent'anni, si sono riposate abbastanza». Cuperlo mostra saggezza e calma serafica: «Le riforme sono incardinate, il Parlamento sta discutendo. Penso che il problema sia farle bene».
Al Senato, poi, a proposito dell'accelerazione sull' Italicum , non c'è soltanto lo scoglio della minoranza di Forza Italia che non accetta di votare il premio di maggioranza alla lista invece che alla coalizione. Ieri ha alzato la voce il senatore Miguel Gotor, spalleggiato da una trentina di senatori che si oppone con fermezza al capolista bloccato. È contro lo spirito dell' Italicum , spiega, e su questo annuncia che non sarà possibile alcuna mediazione. E su tale questione, che lo stesso Gotor definisce «dirimente per la democrazia», è già guerra di cifre.
Lo storico romano definisce «inaccettabile una legge elettorale che prevede che la Camera sia composta da un 60% di deputati nominati». La tesi della segreteria del Pd è diversa. Al Nazareno dicono che i capilista rappresentano solo il 40% della compagine parlamentare (in effetti l' Italicum prevede la divisione del Paese in un centinaio di collegi).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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