«Chi guarda Genova sappia che Genova si vede solo dal mare/quindi non stia li ad aspettare di vedere qualcosa di meglio, qualcosa di più». Ivano Fossati, genovese, cantautore, racconta con un presagio il vuoto della sua città, quegli anni fatti di nulla, capaci di spazzare via ogni cosa, un'egemonia politica e culturale che ha abbassato le serrande delle botteghe, riempito gli scatoloni e spento le luci degli uffici. Genova la Superba per noia ha trattenuto a lungo il respiro. Ora prova a ripartire, dopo i 42 anni trascorsi da quando si chiuse l'esperienza della giunta pentapartita di Giancarlo Piombino, con una vittoria storica, eleggendo un sindaco del centrodestra. Si chiama Marco Bucci, è genovese, ha lavorato all'estero, è tornato e ha deciso di puntare sulla sua città. Su Genova, che aveva una banca, la Cassa di risparmio. Era un vanto, oggi è diventata Carige ed è una delle banche travolte dalle inchieste e dalle paure. A salvarla ci sta provando Vittorio Malacalza, nato ottant'anni fa in Emilia Romagna e trasferitosi qui solo quarant'anni dopo. È un'industriale puro, gli andava di salvare un simbolo della città che lo aveva accolto dopo la morte della madre. E voleva essere ricordato per questo. Ad accoglierlo solo mesi di battaglie e veti, perché Genova è anche così e lo è sempre di più: spesso ingrata, sempre litigiosa, «popolo dalla feroce storia, erede sol dell'odio dei Spinola e dei Doria» (questo non è Fossati, ma il Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi). Genova ha due squadre di calcio, il Genoa è la più antica ed è tenuta da un decennio in serie A da Enrico Preziosi, un imprenditore nato ad Avellino, diventato re dei giocattoli in Lombardia. L'altra, la Sampdoria, è nella mani di Massimo Ferrero dall'estate del 2014. Detto «Er Viperetta», romano, proprietario di sale cinematografiche, nel giugno di tre anni fa uscì da un tribunale che sanciva il fallimento della sua compagnia aerea, scese a Genova e si prese tutto il pacchetto dalle mani del presidente Edoardo Garrone. È Genova con i suoi svincoli micidiali. In tutte queste storie non si trovano mai protagonisti genovesi, quelli delle grandi famiglie che soprattutto con i traffici portuali hanno costruito la loro fortuna. Soldi qualche volta investiti nel mattone, ora chiusi in cassaforte o in speculazioni finanziarie a rischio ridotto. Soldi e mattoni non hanno bisogno di respirare, possono stare ovunque. Questa è Genova per noia, che nella sue rete sotterranea ha visto inghiottire anche i suoi giornali. Fino agli anni Novanta aveva tre quotidiani, ora un foglio con un editore genovese non esiste più. Nel 1992 Il Lavoro venne acquistato dal gruppo Repubblica. Nel 2014 sono arrivati i piemontesi, gli eredi della famiglia Agnelli, e si sono comprati Il Secolo XIX, testata storica per la città. Ormai fanno tutti parte dello stesso gruppo, quello che va in pagina si decide a Torino o Roma. Due anni fa ha chiuso i battenti anche Il Corriere mercantile, il più antico quotidiano italiano del pomeriggio.
Genova non ha più operai, perché non ha più fabbriche, non ha più l'immagine storica del «camallo», anche se il porto resta il primo nel Mediterraneo. «Ci mancherebbe non restasse il primo, fa tre milioni di container all'anno, ma ha strutture per 10. È trascinato dalle grandi multinazionali, ma bloccato dai veti incrociati della città e dalle scelte sbagliate del ministro Delrio, che ascolta solo la Serracchiani e investe sul Nordest», spiega Giorgio Carozzi, giornalista e voce storica di quel che accade in porto. Genova è una città vecchia, che si vede solo da mare, quando si arriva e quando si parte. È città di passaggio. Anche il turismo a Pasqua morde con numeri da record, ma poi fugge.
Con l'elezione diretta del sindaco era sempre stata guidata dalla sinistra. Giuseppe Pericu, un avvocato socialista, mai digerito dall'ala rossa della coalizione, è stato l'ultimo a far respirare un luogo inanimato. Grazie a Pericu arrivarono nel 2001 i soldi del G8, tre anni dopo quelli per la Capitale europea della cultura. Soldi spesi anche bene, per rendere più bello il cuore antico del centro. Chi è passato da Genova se ne sarà accorto, ma non si è fermato. «Un luogo di avvocati con i loro mobili da collezione e di commesse che gli avvocati alla sera accompagnano alla stazione», cantava sempre Fossati. Ora certi avvocati sono andati a Roma, a lavorare con la giunta Raggi: l'invasione dei genovesi, la chiamano nella Capitale. Chi guarda Genova è del 1988, Fossati qualche anno dopo ha scritto anche la Canzone popolare.
Nel 2002 la regalò all'Ulivo in cerca di un nuovo inno. Dopo disse: «Oggi non lo farei più». Fossati ha scritto canzoni meravigliose e ha fatto una cosa rara tra i poeti: nel 2012, a 61 anni, ha chiuso la carriera. Un cittadino perfetto per la sua città.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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