Dicono sia un vecchio detto democristiano: i muri isolano non soltanto chi li subisce, ma anche chi li alza. La forza della trattativa (sempre e comunque) è l'unico motore valido per andare avanti. Ed è proprio alla virtù democristiana per eccellenza, la disposizione alla trattativa e al riposizionamento, che fa pensare la conversazione di ieri tra Di Maio e i cronisti alla Camera. Interpellato sul veto contro il leader di Forza Italia, Di Maio ha stupito tutti commentando: «Berlusconi è il meno responsabile di questo stallo politico». E per essere più chiaro aggiunge: «Non c'è alcun veto su Berlusconi. Rimane invece inalterata la voglia di dialogare con la Lega di Salvini». E il motivo è presto detto. «Noi vogliamo - spiega - fare un governo che preveda due forze politiche e non quattro. La nostra posizione resta questa. Se siamo arrivati fin qui non è per pura fatalità. Qui c'è la responsabilità di qualcuno». E il leader politico del Movimento 5 Stelle si diverte anche a stilare una persona classifica delle responsabilità. «Lo stallo e lo spauracchio del ritorno al voto - dice - sono dovuti principalmente a Salvini che ha scelto la fedeltà alla sua coalizione invece del cambiamento, poi a Renzi che ha ingannato il suo partito e l'opinione pubblica; poi c'è Martina che si è piegato a Renzi, e in fondo, ma solo in fondo alla lista, c'è Berlusconi. Sia Renzi che Salvini hanno deciso di rimanere legati al leader di Forza Italia. Bene, facciano come vogliono. Il vero grande tema quindi non è lui». Stoccata a Salvini ma anche no. «Non c'è alcun litigio con la Lega perché la trattativa non è ancora iniziata. È prevalsa la responsabilità, domani (oggi per chi legge ndr.) incontrerò Salvini».
Insomma nelle ore in cui si fa più fitta la trama dei contatti e in cui rinfocola l'ipotesi di un accordo Lega-Cinque Stelle, Di Maio scopre le virtù della mediazione e del riposizionamento. È facile, poi, sentirsi democristiani in un momento in cui il modello di Aldo Moro diventa un obiettivo alto. Sui social network lo stesso Di Maio spende per il segretario della Dc, barbaramente ucciso dalle Brigate Rosse quarant'anni fa, parole non di circostanza (definendo Moro «una delle figure più importanti dell'Italia repubblicana»). E proprio come un democristiano continua a fare la spola da un forno all'altro, da una parola detta e una taciuta. Da un lato fa sapere che al Quirinale ha chiesto (d'accordo con Salvini) altre 24 ore («per problemi interni al centrodestra»), dall'altra conferma tutti i suoi impegni «elettorali». Salvo poi fare inversione a «U» perché in serata l'accordo per il governo pare a portata di mano. Così sbianchetta la sua agenda. Ma nel pomeriggio ha tenuto a dire che poteva onorare l'impegno preso: vale a dire iniziare il tour per la raccolta fondi per le prossime «iniziative elettorali». E guarda caso la prima tappa sarebbe stata Parma, città grillina e non grillina a un tempo. La città, cioè, amministrata (senza troppi disastri) dallo scomunicato Federico Pizzarotti. Lì si sarebbe tenuto il primo incontro pubblico per la raccolta fondi da utilizzare nei prossimi impegni elettorali. Una scelta anch'essa in perfetto stile ecumenico e democristiano. D'altronde, a poche ore da un'ormai probabile governo bicolore, Di Maio sente tutta la necessità di ammorbidire l'inclinazione populista. Insomma Di Maio può anche aggiustare il tiro nei confronti di Berlusconi.
Il Di Maio di oggi è distante da quello di tre settimane fa quando, parlando da Campobasso, diceva: «Oltre certi limiti non possiamo andare e oggi quel limite si chiama Silvio Berlusconi, soprattutto dopo la sentenza di Palermo (la sentenza sulla trattativa Stato-Mafia, ndr)». In quella occasione, va ricordato, i grillini persero 12 punti percentuali rispetto alle politiche del 4 marzo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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