Tegola sulla manovra 2020: l'Ue chiede altri 10 miliardi

È la correzione del deficit strutturale secondo i Trattati. Rischio stangata anche con un'efficace spending review

Tegola sulla manovra 2020: l'Ue chiede altri 10 miliardi

Roma - C'è un non piccolo particolare relativo alla manovra 2020 che spesso viene trascurato nella previsione degli importi da coprire. Si tratta della correzione del deficit strutturale che potrebbe aggravare di ulteriori 10 miliardo il conto salato della legge di Bilancio.

Il 7 maggio prossimo la Commissione europea pubblicherà le previsioni di primavera. A febbraio Bruxelles aveva anticipato la revisione al ribasso generalizzato stimando un +0,2% per il Pil 2019, pedissequamente importato nel Def. Al momento pare difficile ipotizzare un ulteriore taglio tanto più che domani l'Istat dovrebbe certificare una crescita economica positiva nel primo trimestre grazie alla positiva performance della produzione industriale. Il 5 giugno, però, il Country Report sull'Italia della Commissione potrebbe rimescolare le carte in tavola. Il miglioramento del saldo strutturale per l'anno prossimo indicato dal Documento di economia e finanza è limitato a uno 0,2% a fronte di un peggioramento conclamato nell'ultimo biennio. La correzione dello 0,3% nel 2018 è saltata e per quest'anno si può considerare come aggiustamento «in corsa» il taglio automatico di 2 miliardi (circa lo 0,1% del Pil). È possibile, quindi, che Bruxelles possa indicare nelle proprie raccomandazioni una correzione dello 0,6% del Pil l'anno prossimo (10 miliardi) senza aprire procedure per deficit eccessivo che risulterebbero poco opportune visto il clima post-elettorale con la Commissione Juncker agli sgoccioli.

Ovviamente la correzione è oggetto di trattativa. Al momento, come già ricordato venerdì scorso dal Giornale, il trend di utilizzo delle risorse per quota 100 e reddito di cittadinanza, rivelatosi inferiore alle attese, potrebbe suggerire una rimodulazione dei due stanziamenti di uno 0,3% del Pil (5,5 miliardi) recuperando metà della cifra che Bruxelles richiede. Questo, però, significherebbe abdicare parzialmente, se non del tutto, alle due misure bandiera. Occorre ricordare che, infatti, i tecnici del ministero dell'Economia sono alla ricerca delle coperture per evitare lo scatto delle clausole di salvaguardia da 23 miliardi di euro in modo da impedire che le aliquote Iva salgano al 13 e al 25,2 per cento. Ammesso e non concesso che si riesca nell'opera il cui obiettivo massimo è fissato in 8 miliardi, l'obiettivo indicato dal governo nel Programma nazionale di riforma integrato nel Def è lasciare intatte le agevolazioni dirette ai nuclei familiari, in particolare quelli a basso reddito. L'intenzione sarebbe confermare gli 80 euro di Renzi (9,4 miliardi) ma la coperta è corta.

Sfrondare le tax expenditure significa comunque aumentare la pressione fiscale, magari proprio sulle imprese che già scontano una certa ostilità da parte del governo. L'alternativa è ritoccare o rinunciare a due misure come la controriforma Fornero e l'elevato sussidio di cittadinanza la cui sostenibilità è dubbia e che più volte sono state criticate da organismi internazionale come l'Ocse e dalle agenzie di rating come S&P.

È improbabile che in caso di affermazione dei populisti alle Europee, come ha dichiarato Salvini, i 23 miliardi siano «abbonati» consentendo al deficit/Pil di sfondare il 3 per

cento.

Nel 2018 i tributi pagati dagli italiani hanno sfondato il tetto dei 500 miliardi di euro, a quota 504 miliardi. Rispetto al 2008 hanno dovuto versare 42,2 miliardi in più (+9,1%). Il trend è destinato a proseguire.

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