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Il teorema su papà Renzi ora rischia già di franare

Dal signor T. a mister X: i pm sono al buio

Il teorema su papà Renzi ora rischia già di franare

Un romanzo, una fiction, anzi meglio una telenovela sudamericana. È ciò che rischia di diventare l'inchiesta Consip a mano a mano che i protagonisti, interpellati dai media, professano la propria innocenza rispetto alle accuse che vengono loro mosse. Con il passare dei giorni, ad esempio, il ruolo di Tiziano Renzi, padre dell'ex presidente del Consiglio Matteo, sembra svaporare da quello di attempato traffichino di provincia a quello di persona estranea. E, soprattutto, con il passare dei giorni la posizione di Matteo Renzi sembra rafforzarsi più che indebolirsi ulteriormente e tutto questo clamore potrebbe perfino giovargli a livello pubblicitario oltreché legittimarne i propositi di rivalsa verso gli avversari interni ed esterni che lo volevano azzoppare. «Il sistema toscano di potere è presente solo nei vostri editoriali, non nella realtà e se dicono che è una cosca, querelo», ha dichiarato ieri a Porta a porta specificando «che in qualche salotto della Capitale siamo stati considerati corpo estraneo è estremamente vero ma l'ho cercato». E poi il solito refrain. «Io chiedo che si vada a sentenza e ricordatevi di queste ore e andiamo a vedere se ci saranno sentenze di condanna... chi è innocente non ha paura a della verità». Val la pena, perciò, riavvolgere il nastro e cercare di discriminare ciò che è dimostrabile da ciò che al momento non lo è. È verificato che il dirigente Consip, Marco Gasparri, ha ricevuto dall'imprenditore Alfredo Romeo 100mila euro in tre anni per disegnare «su misura» i bandi di gara. Allo stesso tempo, non è provato che i cosiddetti «pizzini» ritrovati nella spazzatura della Romeo Gestioni sui quali erano scritte le iniziali T. e R.C. con accanto le cifre 30mila e 5mila siano riferibili a Tiziano Renzi e a Carlo Russo.

Così come non sono immediatamente verificabili le dichiarazioni messe a verbale dall'ad di Consip, Luigi Marroni, circa le pressioni ricevute direttamente da Tiziano Renzi e dal senatore Denis Verdini a vantaggio rispettivamente di Romeo Gestioni e dei francesi di Cofely. «Nessun legame umano viene prima della legge», ha ribadito Matteo Renzi rimarcando che «mio padre non si è assolutamente avvicinato ad incarichi pubblici mentre io ero a Palazzo Chigi, ma questo è il minimo che potesse fare». Circostanza confermata pure dallo stesso Verdini in un'intervista al Tempo nella quale ha dichiarato che babbo Renzi «non lo conosco, non lo frequento» smentendo così le affermazioni dello stesso Marroni e sottolineando di averlo incontrato per questioni che non avevano a che fare con l'appalto FM4 della Consip. D'altronde, anche il famigerato «Mister X» che Tiziano Renzi aveva incontrato all'aeroporto di Fiumicino altri non era che Alessandro Comparetto, titolare della Fulmine Group, una ditta di poste e spedizioni private. Insomma, l'unico aspetto che sembra restare in piedi è quello relativo alla fuga di notizie sull'indagine della Procura di Napoli. «Il ministro dello Sport, Luca Lotti, è accusato insieme al comandante generale dei Carabinieri Del Sette di rivelazione di segreto d'ufficio, un reato molto antipatico e spero che sia perseguito, anche se sono certo della loro innocenza», ha aggiunto Renzi rimarcando che «la rivelazione di segreto d'ufficio è una cosa che tutti i giorni viene fatta in alcune redazioni di questo Paese».

Una bufera che ha come effetto di rimettere sotto i riflettori anche Agnese Landini in Renzi, consorte dell'ex premier, che ieri ha fatto sentire il proprio sostegno. «Siamo tranquilli, ma tranquilli nel cuore», ha risposto a chi la interpellava.

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