Coronavirus

Il timore della pandemia spaventa i mercati. Tremano le Borse dall'Asia fino agli Stati Uniti

Fabbriche chiuse e consumi in calo. E il quadro congiunturale è già debole

Il timore della pandemia spaventa i mercati. Tremano le Borse dall'Asia fino agli Stati Uniti

Troppi morti, troppi contagiati. E, soprattutto, il timore crescente che, se non sarà arginata in fretta, la pandemia causata dal Corona virus possa tracimare dal campo medico-sanitario a quello economico, con serie ripercussioni sulla crescita globale. Dissolte le rassicurazioni dei giorni scorsi, l'ala del pessimismo vola sui mercati. Per qualcuno quell'ala sinistra appartiene al cigno nero, l'evento nefasto e imprevisto in grado di far grippare il motore dell'economia globale. Così si vende, si scappa, con un moto sussultorio capace di sparigliare, come tanti bastoncini dello Shangai, gli indici. Black monday servito, tutti giù per terra, ieri: dalle Asie alle Americhe. Trema Tokio (-2%), non ha scampo l'Europa (-2,28% l'Euro Stoxx600), dove a Piazza Affari (-2,31%) scivola come acqua sul marmo l'esito delle regionali che bene ha fatto allo spread, sceso a 142 punti; e a Wall Street il Dow Jones, dopo essere stato tramortito a inizio seduta da una perdita secca di 500 punti, continuerà a perdere oltre un punto percentuale fino a un'ora dalla chiusura.

Fatta la tara alla dose di emotività che connota sempre situazioni palesemente indigeste agli investitori, restano preoccupazioni più che fondate. Nella sostanza, la Cina è al momento un Paese in isolamento con abitudini quotidiane sconvolte. Esempio banale: la paura del contagio sta svuotando ristoranti e bar. Ciò significa una contrazione dei consumi. Un colpo al cuore per il settore dei servizi, uno dei polmoni di ricchezza del Dragone, il cui peso è oggi pari al 54% del Pil contro il 42% ai tempi (2003) della Sars. L'altro, certo non meno importante, è l'area manifatturiera. Molte fabbriche stanno lasciando a casa i dipendenti. Un blocco dell'attività di una, forse due settimane, per milioni di lavoratori. Suzhou, una città a ovest di Shanghai, è la plastica rappresentazione di un infarto collettivo: Foxconn, la fabbrica da cui escono gli IPhone, ha fermato le macchine, imitata dalle conglomerate cinesi di Johnson & Johnson e Samsung. Altre corporation potrebbero presto seguire la stressa strada.

Questa paralisi va a innestarsi su un quadro congiunturale debole, e suscettibile di un peggioramento, che già rendeva difficile conseguire quest'anno l'obiettivo di una crescita del 6% malgrado il recente accordo commerciale con gli Usa. Il virus cambia tutto, e in peggio. Lo si è capito dall'avvitamento subìto non solo dai listini azionari, ma anche dai prezzi di petrolio (-3% circa, col Brent a 59 dollari il barile e il West Texas Intermediate a 52,70 dollari), rame, e minerali di ferro, cioè le materie prime più sensibili a una frenata della domanda provocata da un rallentamento congiunturale. Gli analisti cominciano non a caso a riflettere su quali potranno essere le conseguenze per l'economia mondiale, visto che l'ex Impero Celeste è l'anello di trasmissione di sviluppo e benessere per molti Paesi.

Se questa catena si spezza, i venti di recessione che sembravano essersi placati in questo inizio di 2020 potrebbero tornare a soffiare con prepotenza.

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