Visto che quelli della fronda interna al Pd hanno fatto un buco nell'acqua, facendosi mettere per l'ennesima volta all'angolo da Matteo Renzi, si muove la cavalleria dei padri nobili.
E così Walter Veltroni, che da un po' taceva (ma, dicono nel Pd, spingeva alacremente dietro le quinte per l'intesa con i Cinque Stelle) ieri sera è andato in tv, a Otto e mezzo, a spiegare che «non si può stare sull'Aventino» e che Renzi ha sbagliato tutto. «Se fosse dipeso da me - dice - io avrei fatto due cose. Quando si è votato il presidente del Senato avrei proposto Emma Bonino e avrei chiesto al M5s se preferivano votare lei o una signora che è andata a manifestare contro i magistrati di Milano». Primo passo.
Secondo passo: le consultazioni. «Al presidente Mattarella, invece, avrei proposto un uomo come Raffaele Cantone, cercando attorno a lui la costruzione di un governo di qualità». Questo governo «di qualità», per essere tale, avrebbe dovuto avere dietro non solo il Pd, ma anche Leu e - ovviamente - i Cinque Stelle. Che il fondatore del Pd difende dalle critiche renziane: «Non penso che gli esponenti M5s siano pentafascisti o che siano come la Lega. Una parte consistente dei nostri elettori ha votato per loro e non credo che siano diventati fascisti». Un ragionamento molto affine a quello che fece anni fa Massimo D'Alema per la Lega, che definì «una costola della sinistra».
L'attacco a Renzi è duro: «La sinistra ha raggiunto il livello più basso della sua storia. Ha perso metà dei suoi elettori, un referendum molto importante che ho sostenuto, le amministrative e le politiche. Ma vuoi fermarti a capire cosa sta succedendo?». Poi chiede una «leadership collegiale» e, visto che «non immagino un Pd senza Renzi», occorre che attorno a lui ci siano «altre personalità, come Enrico Letta». E naturalmente Paolo Gentiloni, «grande risorsa del centrosinistra».
L'esternazione veltroniana non sorprende il fronte renziano. «È la conferma che erano tutti d'accordo per fare il governo Di Maio», ha commentato con i suoi l'ex premier. Che nel frattempo si toglie la soddisfazione, dopo la vittoria in direzione, di far notare ai filo-grillini del Pd che si erano fatti qualche illusione sui progressi democratici della Casaleggio: «M5s ha capito di non avere i numeri per il governo e sbrocca, con Grillo che chiede referendum anti euro e accusa gli altri di colpo di Stato per la legge elettorale. Sono orgoglioso di aver contribuito ad impedire l'accordo con loro». E chiede «rispetto» per chi, «non vuole finire la propria esperienza come partner di minoranza della Casaleggio». A differenza, sottinteso, di molti dirigenti dem. Che non la prendono bene: pronta arriva la reazione del ministro Dario Franceschini: «La riflessione di Renzi è superficiale e sbagliata. Proprio il fatto che Grillo e 5 Stelle tornino, fallita una prospettiva di governo e avvicinandosi le elezioni, ai toni populisti e estremisti, dimostra che avremmo dovuto accettare la sfida del dialogo».
Ma è l'ex ministro Damiano a sollevare il coperchio sul grande non detto dello scontro nel Pd: «Renzi è orgoglioso di aver bloccato l'accordo con M5s? Forse gli sfugge che la proposta non era della minoranza Pd, ma del presidente della Repubblica». Un aspetto che a Renzi, che in privato non nasconde alcune perplessità sulla gestione istituzionale della crisi, non era sfuggito per nulla.
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