Triste fine dei Brics, tigri senza più zanne

Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica stanno perdendo la sfida all'Occidente

Triste fine dei Brics, tigri senza più zanne

Sic transit gloria mundi, dicevano gli antichi romani. Appena sette anni fa, i Brics, acronimo che sta per Brasile, Russia, India, Cina e (con aggiunta successiva) Sudafrica, erano considerate le nazioni emergenti destinate a cambiare gli equilibri economici del mondo. È soprattutto per il loro prepotente ingresso sulla scena che, a suo tempo, venne creato il G-20, destinato a prendere il posto di un G-8 avviato all'obsolescenza. Ora tutto è cambiato. Con la parziale eccezione dell'India, che nonostante errori e ritardi è cresciuta nel 2015 di un bel 7%, i Brics sono diventati i principali responsabili del rallentamento della crescita. I loro progetti di creare nuove istituzioni finanziarie destinate a rivaleggiare con il Fondo Monetario internazionale e la Banca mondiale e di lanciare una moneta di riserva in alternativa al dollaro sono svaniti come neve al sole. Quella che, a un certo punto, grazie anche ai suoi oltre tre miliardi complessivi di abitanti era apparsa come una specie di «santa alleanza» contro i Paesi sviluppati che da sempre dominavano la scena si è praticamente dissolta.Ognuno dei cinque, naturalmente, ha una storia diversa, e diversi sono i motivi del suo declino. Il Brasile (che tra l'altro si appresta a ospitare le Olimpiadi, per cui sta facendo spese folli)) è precipitato nell'abisso di una delle peggiori recessioni della sua storia per una combinazione di errori politici ed economici, di plateale corruzione e di inefficienza burocratica. Dopo gli otto anni di presidenza Lula, in cui una serie di programmi sociali aveva permesso a decine di milioni di brasiliani di uscire dalla povertà, la sua erede Dilma Rousseff ha sbagliato tutto: senza tener conto che il crollo del prezzo delle materie prime aveva privato il Paese della sua principale risorsa, ha continuato a distribuire danari a pioggia, mandando gli uomini in pensione a 55 anni e le donne a 50 e creando un buco enorme nel bilancio. L'anno scorso il Pil ha perduto oltre il 3 per cento e farà altrettanto quest'anno. Un caso di corruzione plurimiliardario riguardante la Petrobras ha screditato lei e i suoi principali collaboratori. Se anche riuscirà a sfuggire alla procedura di impeachment, non sembra avere né la forza, né la capacità, e forse neppure la volontà di riportare il Paese sulla retta via.Della Russia, sappiamo tutto. Con un'economia basata quasi esclusivamente sulla esportazione di idrocarburi, il crollo dei prezzi del petrolio ha devastato il suo bilancio, incidendo pesantemente sul tenore di vita dei suoi abitanti. Le sanzioni occidentali per il conflitto ucraino e le spese militari per il rinnovamento delle Forze armate e l'intervento in Siria stanno facendo il resto. Il rublo continua a perdere valore, le importazioni diminuiscono e, specie nelle province, la situazione comincia a somigliare a quella degli ultimi anni dell'Urss. Per ora, la popolazione soffre, ma si limita a mugugnare: purtroppo per lei, nell'immediato è previsto un ulteriore peggioramento.Sull'India si erano appuntate grandi speranze quando il liberista Modi ha vinto le ultime elezioni, promettendo di tagliare gli infiniti lacci e lacciuoli di matrice socialista che da decenni frenano lo sviluppo. Qualcosa ha fatto, come dimostrano le cifre, ma con il passare del tempo sono cresciute anche le resistenze da parte dell'onnipotente burocrazia, degli Stati spesso governati da partiti locali e dell'oligarchia nata su una struttura ancora feudale. Comunque, Modi è ormai persuaso che i Brics sono il cavallo sbagliato.La Cina è oggi al centro di tutte le discussioni: saprà gestire la sua crisi o diventerà il fattore scatenante di una nuova recessione mondiale? Il suo tasso di crescita, 6,8%, sembra enorme a noi, ma è il più basso degli ultimi 25 anni e in discesa. Le violente oscillazioni delle sue Borse si ripercuotono fino a Wall Street. A Davos, Christine Lagarde ha detto che per uscire dal tunnel dovrà completare una triplice conversione, da Paese manufatturiero a Paese di servizi, da Paese esportatore a Paese di consumatori e da Paese ancora dominato dalle industrie statali a libero mercato ad alto contenuto tecnologico. È nell'interesse di tutti che ci riesca, ma, nonostante l'enorme influenza che ha sull'economia mondiale i sogni di sette anni fa sono comunque destinati a rimanere nel cassetto.In un contesto globale, del povero Sudafrica, aggregato al gruppo solo per ragioni geopolitiche, non vale quasi la pena di parlare, se non fosse che anche lui ha perso nel 2015 il 3% del Pil, che il suo presidente Zuma di è rivelato incapace e disonesto, che quasi metà della popolazione è disoccupata e che il sogno di Mandela di un'armoniosa società multirazziale sta naufragando. Il partito della liberazione, l'Anc, è ormai corrotto fino al midollo.Quando i Brics andavano per la maggiore, molti altri Paesi, dalla Turchia all'Indonesia, aspiravano a entrare nel club.

Ma adesso anche la maggioranza di loro se la passa male, perché la caduta del prezzo delle materie prime ha impoverito tutti i Paesi emergenti, e di conseguenza ridotto il volume dei commerci. Adesso, di nuovi blocchi, di grandi alleanze, non si parla più. È ognuno per sé, sperando di cavarsela meglio degli altri.

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