Cronache

La triste fine dei simboli dei favolosi anni Ottanta

In crisi Mercatone Uno, che fu definita l'Ikea italiana. Ma pure Stefanel e Ferrarini soffrono

La triste fine dei simboli dei favolosi anni Ottanta

Qualcuno è giunto a chiamarla l'Ikea italiana: di certo la catena di negozi a marchio Mercatone uno è stata per molti anni uno dei riferimenti in Italia per l'arredamento di largo consumo. Un gruppo fondato alla fine degli anni Settanta e, dopo anni di successi, sprofondato in una crisi che nemmeno l'amministrazione straordinaria e la cessione sono riusciti a sconfiggere. Di ieri la notizia che è stata richiesta al tribunale di Milano l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, per ripartire da capo e cercare di ridare appeal ai 55 punti vendita in sofferenza.

Si tratta di una realtà con 1.800 posti di lavoro (erano 3.700 nel 2011), con un fatturato che nel 2010, in anni ancora d'oro, aveva raggiunto gli 837 milioni di euro, e che poi è crollato. Ma ha anche aspetti sportivi e affettivi, che vedono in apprensione gli appassionati di ciclismo. Mercatone uno era infatti la maglia indossata da un ciclista passato alla leggenda come Marco Pantani, scomparso 15 anni fa, al quale è dedicata una gigantesca biglia proprio davanti alla sede del gruppo, a Imola.

Ma Mercatone uno possiede anche cimeli importanti sulla vita e i successi di Pantani. A cominciare dalle sue biciclette, dalle sue maglie, fino a medaglie, coppe, gagliardetti, oggetti vari. In tutto 40 lotti appartenuti a un altro ciclista (della generazione di Coppi e Bartali) Luciano Pezzi, che della squadra del Mercatone era il presidente e di Marco il primo tifoso. La Fondazione a lui intitolata ha ceduto in comodato i pezzi riguardanti Pantani al Mercatone, ma la documentazione del prestito è considerata debole, e tutto il materiale, legato all'azienda in crisi, è a rischio di dispersione.

Il provvedimento richiesto ieri dalla nuova proprietà Shernon holding srl che nell'agosto 2018 ha acquistato i 55 punti vendita, ha lo scopo di garantire la continuità aziendale. Valdero Rigoni, amministratore delegato di Shernon, sottolinea che «l'obbiettivo non è uscire dal mercato ma anzi ripartire più forti». Il concordato preventivo in continuità è quello strumento del diritto fallimentare che permette all'azienda in crisi di proteggersi dai creditori con lo scopo di perseguire il risanamento per poter far fronte alle proprie obbligazioni. É un po' il Chapter 11 del diritto americano, una modalità alla quale ricorrono aziende con fondamentali ancora promettenti, ma spesso travolte da crisi finanziarie che altrimenti non sarebbero superabili. In questo momento sono numerose le società che hanno fatto ricorso a questo estremo tentativo di risanamento. Ne ricordiamo alcune: un nome illustre è quello della maison di moda di Roberto Cavalli, controllata dal fondo Clessidra (gruppo Italmobiliare-Pesenti). Nelle due sedi di Milano e di Sesto Fiorentino sono in allarme i 270 dipendenti. Nel rilancio sono già stati investiti 110 milioni ma l'equilibrio di bilancio, previsto per il 2018, non è stato raggiunto. Intanto il piano di riduzione dei costi ha comportato anche il taglio degli stipendi.

In concordato è anche la Ferrarini, storica produtrice reggiana di prosciutto cotto, che ora con l'intervento del gruppo Pini, produttore di bresaole, si è data un piano industriale al 2024. Stefanel è un altro nome noto in concordato, che recentemente ha ottenuto anche il ricorso alla cassa integrazione straordinaria.

In concordato con l'obbiettivo di raggiungere una ristrutturazione del debito anche la discoteca Cocoricò, di Colle dei Pini a Riccione.

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