L'intesa sul Mes c'è. E sembra aver trasformato quello che ai tempi della crisi greca era l'emblema della macelleria sociale praticata all'ombra del Partenone, in uno strumento più adatto in questi tempi disastrati dal coronavirus. Sarà light, come s'usa dire oggi per marcare il cambio di registro rispetto al passato e per indicare che i beneficiari non si ritroveranno la Troika all'uscio. Forse bene, ma non benissimo: l'Italia porta a casa un salvagente che non sa ancora se usare, ma in compenso incassa l'ennesimo nulla di fatto su quel Recovery Fund per cui il premier Giuseppe Conte si è battuto insieme alla Francia. Troppe ancora le distanze fra i Paesi del Sud e quelli rigoristi per sciogliere tutti i nodi e approvare, seppur in una forma embrionale, una stampella che potrebbe valere altri 500 miliardi.
Dopo settimane di polemiche, lo iato fra il fondo salva-Stati e il commissariamento appare comunque come il punto di caduta più sostanziale raggiunto ieri dall'Eurogruppo. L'accordo affida infatti alla Commissione europea, escludendo quindi lo stesso Mes e la Bce, il compito di monitorare come saranno indirizzati i fondi ricevuti. Non sono previste missioni di controllo, con l'eccezione di quelle svolte regolarmente ogni semestre, né l'implementazione di riforme lacrime e sangue (tagli al welfare, nuove tasse, privatizzazioni, ecc.) e la richiesta di correzioni aggiuntive. «La sorveglianza e il monitoraggio dovrebbero essere commisurati alla natura dello shock simmetrico causato dal Covid-19», spiega una nota dell'Eurogruppo. In pratica, «l'intensità» della sorveglianza sui conti «dovrebbe essere commisurata e proporzionata alla severità delle difficoltà finanziarie incontrate e dovrebbe tenere in considerazione la natura dell'assistenza finanziaria ricevuta».
Naturalmente, visto che il diavolo si nasconde nei dettagli, solo nei prossimi giorni sarà possibile capire se il Mes ha davvero cambiato pelle. Anche se, fin d'ora, resta aperto l'interrogativo su cosa succederà una volta terminata la tregua imposta dal Covid-19.
Sulle regole del Patto di Stabilità, ora sospese, il numero due della Commissione, Valdis Dombrovskis, è stato chiaro: «Torneranno in vigore, perché sono già provviste della necessaria flessibilità che consentirà di adattarle alle differenti situazioni economiche in cui si trovano gli Stati membri». Per l'Italia, con disavanzo e debito ben oltre i parametri consentiti, potrebbe essere un problema.
Se il governo deciderà di aprire il paracadute del fondo salva-Stati, avrà a disposizione 36 miliardi di euro (il 2% del Pil), sui 240 miliardi di dotazione complessiva, già a partire dal primo giugno. I prestiti avranno una durata di 10 anni a un tasso d'interesse di poco sopra lo 0,1% annuo. La linea di credito potrà essere usata per le spese sanitarie, ma i ministri hanno convenuto che non saranno limitate all'acquisto di respiratori o per le terapie intensive. Ci sarà tempo fino a dicembre 2022 per attingere ai fondi, ma se l'impatto dell'emergenza fosse superiore al previsto saranno possibili ulteriori proroghe. Nel complesso, comprendendo anche il meccanismo Sure anti-disoccupazione e i fondi della Bei, sono 540 i miliardi messi a disposizione dall'Europa.
Bruxelles ha giudicato tutti i Paesi idonei a usufruire dei fondi. Anche il nostro, visto che il debito è considerato sostenibile malgrado il previsto picco del 159% a fine anno, destinato però a scendere al 140% nel 2030. È una traiettoria che potrebbe però inquietare le agenzie di rating.
Qualche giorno fa Fitch ha già declassato appena un gradino sopra il livello spazzatura (BBB-) il nostro merito di credito, mentre Standard&Poor's lo ha lasciato invariato a BBB-. Nella tarda serata di ieri non erano invece ancora arrivati i verdetti previsti di Moody's (Baa3, solo di una tacca superiore al livello junk) e Dbrs (BBB high).
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.