Roma Sempre meno trasparenti e collaborativi i Tullianos, cioè i Tulliani, la famiglia della compagna di Gianfranco Fini, quella che ha contribuito ad affossare la già tormentata carriera politica dell'ex leader di Alleanza Nazionale.
Mentre Giancarlo, il cognato dell'ex presidente della Camera, il fortunato inquilino della famosa casa di Montecarlo, fa il latitante dorato a Dubai da quando a marzo la Procura di Roma ha spiccato nei suoi confronti un mandato d'arresto per riciclaggio nell'ambito dell'inchiesta sui suoi rapporti con «il re delle slot» Francesco Corallo, sua sorella Elisabetta, anche lei indagata per lo stesso reato con padre e compagno, fa scena muta davanti ai magistrati che l'hanno convocata per sentire la sua versione sulla compravendita dell'appartamento nel Principato donato nel 1999 al partito dalla contessa Anna Maria Colleoni e svenduto da An, nove anni dopo, ad un prezzo decisamente inferiore al suo valore commerciale, alla Printemps, una società offshore riconducibile ai Tulliani, per poi essere rivenduto alla Timara, altra offshore a loro riconducibile, con una milionaria plusvalenza. L'interrogatorio, di cui ha parlato il quotidiano Il Tempo, si è concluso in pochi minuti, giusto il tempo di formalizzare la decisione di Elisabetta di avvalersi della facoltà di non rispondere. «La Tulliani ha comunque dichiarato la sua estraneità ai fatti contestati e si è riservata di farsi interrogare a conclusione dell'inchiesta, dopo aver letto gli atti», spiega uno dei legali, Michele Sarno. «Una scelta fisiologica», per l'altro legale, Francesco Caroleo Grimaldi.
Eppure lady Fini di cose da spiegare ne avrebbe parecchie. Avrebbe potuto chiarire come mai i soldi per pagare l'appartamento provenissero dai conti di Corallo, ma anche il suo ruolo nella Timara, accertato dai magistrati, e i vari passaggi di denaro dai conti del fratello ai suoi, in particolare di quei 740mila euro che Giancarlo le ha bonificato in due tranche nel novembre del 2015. Ma in questa vicenda fin dall'inizio c'è stata scarsa disponibilità a chiarire. Anche da parte di Fini, del resto, che ai tempi dello scandalo di Montecarlo, sollevato da questo giornale, si ostinava a negare di conoscere i motivi per i quali l'appartamento fosse nella disponibilità di Giancarlo, arrivando a sostenere che se si fosse dimostrato che la casa era del cognato si sarebbe dimesso dalla presidenza della Camera. Cosa mai avvenuta, neanche quando i fatti lo hanno smentito. Fino al noto «sono un cogl...
, non un corrotto», quando l'inchiesta ha dimostrato che la società della casa di Montecarlo era riconducibile a sua moglie. Scaricare tutta la colpa sul cognato non gli è servito, l'indagine è andata avanti, lo ha travolto. Con tutta la famiglia. Ma a questo punto chiarire è diventato sempre più difficile.
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