Tunisi Il presidente dell'unica democrazia araba esce dal suo studio. Sfiora il busto di Annibale e subito incrocia il giornalista italiano: «Buongiorno». Beji Caid Essebsi ha l'aria afflitta e dimostra di colpo i suoi 89 anni. Non vuole e forse non può parlare in un momento così complicato. Saluta e si allontana fra i saloni, gli stucchi e i lampadari della sontuosa reggia di Cartagine, costruita in riva al mare dal padre della patria Bourghiba. Il coprifuoco sembra aver raggiunto l'obiettivo: la situazione vira verso la normalità, dopo una settimana di scontri, tafferugli, saccheggi, dimostrazioni. La polizia tenta un primo bilancio di questo gigantesco incendio: 423 arresti, 109 agenti feriti. E ora la speranza che i sigilli notturni vengano rapidamente rimossi, magari già fra un paio di giorni. Nel palazzo presidenziale tutti ripetono come un mantra le stesse parole: «Questa è una rivolta sociale, non politica. La gente ha fame e il coprifuoco era necessario per prevenire o spegnere subito assalti e devastazioni».Qualcosa del genere l'ha spiegato lui stesso venerdì sera, direttamente in Tv: «Senza lavoro non c'è dignità». Prima di accusare chi vuole giocare sporco: «L'Isis in Libia attende il momento giusto per infiltrarsi in Tunisia». Un discorso breve, dieci minuti in tutto, che Essebsi, il primo presidente eletto dal popolo, il laico leader del partito Nidaa, l'uomo dall'albero genealogico rocambolesco che risale fino alle radici in Sardegna, ripete sabato mattina a Stefania Craxi, venuta a salutarlo in quel complesso da favola. «La situazione è sotto controllo». La notte, la prima del tutti a casa, sembra aver portato consiglio, come in una storia a lieto fine. Il problema è che non sarà facile rimettere in sesto un Paese sfibrato dalla crisi economica: la disoccupazione è al 16 per cento, ma sale ad un pauroso 50 per cento fra i giovani laureati che hanno perso la speranza e coltivano insane inquietudini. La Tunisia, che prima cresceva ad un ritmo impetuoso, ora si avvita sui propri problemi e frena: il segno più oggi è un soffio, quasi un rantolo che si misura in zero virgola.Essebsi è teso, ma nel cielo di Cartagine, fra le rovine della città rasa al suolo dai romani, c'è anche qualche spiraglio di luce: la Francia ha aperto i cordoni della borsa e darà un miliardo di euro. Il G8 invece sembra essersi scordato della tanto decantata rivoluzione dei Gelsomini e i soldi promessi non sono mai arrivati. «Alzo le mani», sospira il vecchio presidente, come a riconoscere la solitudine di chi deve districarsi da solo. E sa di dover salvaguardare i fragili equilibri di una coalizione di governo che va dai Fratelli musulmani di Ennahda, qui in versione light rispetto agli integralisti egiziani, fino ai laici di Nidaa. «Craxi ci aiutava», è il congedo cupo di questo uomo che in un'altra era geologica, ai tempi di Bourghiba, è stato ministro dell'Interno.A Cartagine, una cartolina affacciata sul Mediterraneo, l'atmosfera è rarefatta. Ma anche fuori, fra le vie sempre caotiche della capitale, il nervosismo affiora solo ai posti di blocco, nemmeno tanto frequenti. La Tunisia affronta la seconda notte nella cappa del silenzio. La prima ha svuotato le strade, come in un film di fantascienza: le vie di Hammamet, percorse dal Giornale insieme alla polizia, erano un deserto. E un calcio in faccia alle residue chance di un turismo ridotto a uno spettro. Gli hotel sono frequentati da rari villeggianti tedeschi e da pensionati italiani che temono più le tasse di Renzi dei salafiti. L'ambasciatore Raimondo De Cardona però invita tutti a tornare: «Basta evitare le zone interne, le sole pericolose. Il resto della Tunisia è tranquillo e sicuro».
Così il blocco serale diventa un countdown collettivo, un conto alla rovescia che tutti vorrebbero rapidissimo. Per tentare di tornare alla Tunisia del passato. Quasi una provincia dell'Occidente che oggi si gira dall'altra altra parte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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