Tutte le incognite di un governo Pd-M5S

Ecco tutti i rischi di un governo M5S-Pd per Matteo Renzi, Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio. Sia che nasca o che si vada alle urne il vincitore sarà comunque Matteo Salvini

Tutte le incognite di un governo Pd-M5S

Mentre Matteo Salvini continua a chiedere “elezioni subito”, l’altro Matteo (Renzi) risponde indirettamente a Beppe Grillo e propone un “governo istituzionale”. Un esecutivo con “tutti dentro”, ad esclusione di Lega e FdI.

Le manovre di Renzi

Un esecutivo che eviti l’aumento dell’Iva, faccia la manovra e approvi la riforma Fraccaro sulla riduzione del numero dei parlamentari. “Andremo in Senato e ci confronteremo. E qui è in gioco l’Italia, non le correnti dei partiti. Chiederò di parlare e dirò che votare subito è folle per tre motivi”, ha dichiarato Renzi al Corriere della Sera. Una giravolta che si potrebbe definire storica per l’ex presidente del Consiglio che a inizio legislatura aveva detto che sarebbe bastato aspettare e mangiare dei pop-corn per vedere fallire il governo targato Lega-M5S. Evidentemente, la prospettiva delle urne in autunno deve aver fatto andare di traverso qualche pop-corn a Renzi se l'ex premier, dopo aver criticato per mesi il segretario Nicola Zingaretti davanti all'ipotesi di un’eventuale alleanza con i Cinquestelle, ha completamente cambiato linea. Ora il Pd è di nuovo diviso e le parti si sono invertite.

Se, infatti, prima erano i renziani a temere che l’attuale segretario facesse una simile alleanza, ora è Zingaretti ad aver paura che la proposta di Renzi possa non solo allontanare le urne ma metterlo in minoranza all’interno del suo stesso partito. La faccenda è complessa ma allo stesso tempo molto semplice. Renzi puntava a spaccare il Pd dall’esterno annunciando, magari in occasione della Leopolda autunnale, la nascita del suo partito centrista di ispirazione macroniana, ma la caduta del governo gli ha, come si suol dire, rotto le uova nel paniere. Che fare, ora? Prima di tutto evitare il ritorno al voto nella speranza, magari, che altre eventuali inchieste giudiziaria sgonfino “il fenomeno Salvini”. In secondo luogo prendersi di nuovo il partito adottando “il metodo Bersani”. L’ex segretario dem, nel 2013, dovette lasciare il suo incarico dopo essere stato vittima dei “franchi tiratori” sul voto per il Capo dello Stato. Ora la storia, nei desideri di Renzi, dovrebbe ripetersi. Se, infatti, passasse “la linea renziana del non voto”, il ruolo e l’autorevolezza di Zingaretti verrebbero seriamente messe in discussione. Se non passasse, allora Renzi si sentirebbe legittimato a dar vita alla scissione e creare gruppi autonomi dal Pd, embrioni del futuro partito. Il nome c'è già: "Azione civica".

Ma, numeri alla mano, l’ex premier ha davvero delle chances nel portare a buon fine la sua “operazione di Palazzo”? In Senato controlla circa 35-40 senatori su 51 totali del Pd, mentre alla Camera 60-65 deputati su 111. Considerando che a Montecitorio il M5S ha 216 deputati e che, oltre ai 65 deputati renziani e i 14 di Leu, potrebbero aggiungersi una 18-20 del gruppo misto, il nuovo esecutivo godrebbe di 301 voti. Una cifra di poco al di sotto dei 316 voti necessari per ottenere la fiducia. A Palazzo Madama, invece, i pentastellati sono 107, a cui si unirebbero un massimo di 40 senatori renziani e un altro 20-21 membri del gruppo misto e del gruppo delle autonomie, per un totale di 168. Soltanto sette senatori in più del necessario. Un numero che darebbe una maggioranza molto fragile e molto simile al Prodi bis.

Il Pd diviso sul "governo istituzionale"

È pur vero che Sergio Mattarella potrebbe esser l’unico a richiamare “al senso di responsabilità” il segretario Zingaretti il quale, per il momento, respinge la possibilità di un’alleanza col M5S. “Di fronte a una leadership della Lega che tutti giudichiamo pericolosa e che si appella al popolo in maniera spregiudicata è credibile imbarcarsi in un esperienza di governo Pd/ 5 stelle (perché di questo stiamo parlando) per affrontare la drammatica manovra di bilancio e poi magari dopo tornare alle elezioni? Su cosa? Nel nome della salvaguardia della democrazia? Io con franchezza credo di no”, scrive nel suo blog sull’HuffPost. Renzi, dal canto suo, pare essere pronto allo scontro: “Zingaretti dice: Renzi ci dia una mano. Accolgo volentieri l’appello, ma per me la mano va data al Paese più che alla Ditta”. Ma la "ditta" non gli perdonerebbe facilmente un secondo flop dopo quello delle Politiche del 2018.

Renzi, però, non è l'unico a teorizzare la nascita di un governo che solo pochi giorni fa sembrava improponibile. Il sempre ondivago Dario Franceschini, già da inizio legislatura, paventava uno scenario di alleanza Pd-M5S e controlla anch'egli una nutrita pattuglia di parlamentari. L’ex ministro ai Beni Culturali (che nasce politicamente come veltroniano, per poi diventare bersaniano, renziano e infine zingarettiano) ora ci va più cauto: “Dopo l’intervista di Matteo Renzi invito tutti nel Pd a discutere senza rancori e senza rinfacciarci i cambi di linea. Io lo farò. Anche perché in un passaggio così difficile e rischioso, qualsiasi scelta potrà essere fatta solo da un Pd unito e con la guida del segretario”. Insomma, il ribaltone dentro il Pd è quasi pronto.

Cosa succederebbe in casa M5S

E dentro il Movimento Cinque Stelle? Anche. Entriamo per un attimo nell’ambito della fantapolitica. Un governo Pd-M5S dovrebbe esser guidato sempre da una figura almeno apparentemente super partes come Giuseppe Conte o Giovanni Tria (almeno sembrano esser questi i nomi che circolano). E chi sarebbero i vicepremier? Da una parte probabilmente Renzi o un renziano di stretta osservanza ma dall’altra non certo Luigi Di Maio. Va bene l’incoerenza ma che sia ancora l’attuale ministro del Lavoro a guidare il M5S e le trattative col Pd per il nuovo esecutivo, dopo aver governato per 14 mesi con la Lega e aver portato il suo partito dal 32 al 17%, pare alquanto improbabile. Le figure più gettonate sono Roberto Fico o Alessandro Di Battista ma su quest’ultimo nutriamo qualche dubbio, visto che solo pochi giorni fa ha definito il Pd il “partito di Bibbiano”. Il cambio al vertice con Fico a capo dei Cinquestelle, poi, dovrebbe essere benedetto dal giudizio insindacabile della piattaforma Rousseau, ossia da Davide Casaleggio.

Una svolta che potrebbe non essere indolore, soprattutto dal punto di vista politico ed elettorale. Politico perché i deputati dovrebbero scegliersi un nuovo Presidente della Camera (con le inevitabili divisioni che comporterebbe) ed elettorale perché negli ultimi sei anni gli attivisti pentastellati sono stati educati a dare addosso al Pd e agli immigrati. Ora, dopo aver dovuto ingoiare i bocconi amari dell’Ilva, della Tap e della Tav, quegli stessi elettori dovrebbero accettare passivamente il ritorno alla politica dei porti aperti? Forse i duri e puri lo faranno ma dem e pentastellati corrono il rischio di perdere ulteriori consensi, soprattutto se intendono approvare una manovra che segua le dure imposizioni che arriveranno da Bruxelles.

Davanti all’ennesima “operazione di Palazzo”, la “bestia” di Luca Morisi si avventerà violentemente sulle due nuove forze di governo e, in ogni caso, Salvini è destinato a vincere. Ovviamente questa previsione, lo ribadiamo, rientra sempre nell’ambito della fantapolitica ma, se si vota il leader del Carroccio fa man bassa di consensi nelle urne, se non si vota continua a crescere nei sondaggi.

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