Roma Il pasticcio Rai si scioglierà solo tra oggi e domani, giorno in cui il Ministero dell'Economia dovrà proporre ufficialmente il nome del futuro presidente della tv di Stato.
I contatti con Matteo Renzi, ancora in Giappone, sono complicati dal fuso orario. E comunque il premier ha mandato più o meno a quel paese chi da Roma lo sollecitava sui nomi da candidare per il Cda (sette, di cui tre o quattro di spettanza Pd), su cui oggi dovrà votare la Vigilanza. «Fate voi», si è spazientito. Irritato anche perché il suo nome ideale per la presidenza della Rai, quello di Paolo Mieli, è tramontato per rifiuto del diretto interessato. Un nome che avrebbe risolto la partita: autorevole, di indiscusso prestigio, e votabile da tutti, soprattutto dal fronte berlusconiano che era già stato sondato. Invece niente, si deve ricominciare a cercare: forse una donna, per fare pendant con il direttore generale che sarà un uomo, un manager televisivo di provata capacità come Antonio Campo Dall'Orto. Circolano nomi di giornalisti prestigiosi (Marcello Sorgi) e di grand commis (Antonella Mansi, ex presidente della Fondazione Mps; Franco Bernabè, ex dirigente di Eni e di Telecom), ma una cosa è certa: il nome dovrà trovare un gradimento in casa Forza Italia, perché il presidente deve essere votato a scrutinio segreto dalla commissione di Vigilanza, e serve una maggioranza qualificata di 27 voti su 40, mentre la maggioranza ne controlla circa 22. Di cui alcuni fanno parte della minoranza bersaniana del Pd, che com'è noto si diletta assai nel far inciampare Renzi ogni volta che può. Anche se pubblicamente giura e spergiura di non voler fare scherzetti: «Nessuna volontà di fare agguati o trame - assicura il senatore Federico Fornaro - è in atto la costruzione di un nemico interno da parte di chi vuole alimentare la tensione: noi vogliamo solo discutere nel merito, anche sulla Rai».
Sta di fatto che ieri, fino a notte fonda, i parlamentari del Pd che si occupano della materia hanno discusso dei quattro nomi da proporre per il Cda: tre in quota Pd, di cui uno per accontentare la sinistra interna, più un altro di area centrista. «Chi candidiamo noi? Un barista di Saigon», ironizza il bersaniano Miguel Gotor, evocando la nota polemica sul «Vietnam parlamentare» minacciato dalla minoranza.
Il premier ha chiesto di proporre nome innovativi, fuori dai giochi e così ieri sera circolavano identikit di giovani blogger o manager con esperienze all'estero, poco noti alle cronache: dal giornalista Leonardo Bianchi all'ex dirigente di Endemol e Antena 3 Giorgio Sbampato, londinese di adozione e
membro della prestigiosa Chatham House; fino al ben più noto Giovanni Minoli (oggi a Radio 24 ). «All'appuntamento della Vigilanza il Pd si presenterà unito e compatto», assicura il capogruppo in commissione Vinicio Peluffo.
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