L'Arma si muove tra tradizione e innovazione. Da una parte legata al pattugliamento capillare del territorio, dall'altra mettendo in campo unità specializzate, come le nuove Aliquote di Primo Intervento anti-terrorismo e tecniche innovative, come quelle del Ris, che permettono di inchiodare un assassino a 30 anni di distanza.
Oggi l'istituzione più vicina al cittadino celebra il suo 204° annuale dalla Fondazione e lo fa in pompa magna, alla presenza delle più alte cariche dello Stato. Ma il lavoro costante che i militari fanno ogni giorno, avviene a riflettori spenti e porta a risultati significativi, come la condanna dei tre kosovari affiliati all'Isis, che progettavano un attentato sul ponte di Rialto. È proprio il colonnello Claudio Lunardo, comandante del Comando Provinciale di Venezia, a raccontare cosa è cambiato in tema sicurezza.
Colonnello il suo territorio non è tra i più semplici. Come fa a gestire l'enorme afflusso di immigrati e turisti?
«Sicuramente Venezia ha problematiche complesse, perché viene visitata quotidianamente da migliaia di persone e ha un aeroporto tra i più importanti d'Italia. Noi puntiamo a far stare i nostri uomini su strada, con un controllo certosino del territorio».
Avete anche comunità straniere, come quella cinese, che negli anni si sono insediate stabilmente a Venezia e Mestre. Questo rende tutto più difficile?
«Ci siamo organizzati e abbiamo creato pattuglie miste, che vedono i nostri uomini affiancati da due poliziotti cinesi, che hanno il compito di supportare i loro connazionali e partecipano ai controlli, operando anche a bordo delle nostre imbarcazioni. Una cooperazione internazionale svolta nell'ambito di un progetto della Direzione Centrale della Polizia Criminale che interessa quattro città: Venezia, Milano Prato e Roma. L'Arma si occupa delle prime due. Lo scorso anno una iniziativa simile l'abbiamo fatta con la Spagna».
La criminalità, però, ha sempre più spesso volto straniero. Cosa fare per arginarla?
«L'arma principale è il pattugliamento delle strade. La sicurezza passa attraverso il controllo del territorio, dei luoghi di aggregazione. Al di là di tutte le tecnologie che abbiamo e ci permettono banche dati sempre più complete, noi continuiamo a fare come una volta. E abbiamo le nostre stazioni in tutti i comuni e centri italiani: non è una realtà superata ma un presidio insostituibile».
Ma l'Arma è anche innovazione. O sbaglio?
«Sicuramente, basta pensare alla banca dati del Dna del Ris, che oggi permette di arrivare a identificare persone a distanza di anni. Molti carabinieri stanno frequentando corsi proprio per essere utili ai colleghi di questi reparti specializzati. Così, anche dalla base, possiamo servire a chi ha questo tipo di professionalità».
Quanto è stata utile l'apertura dell'Arma alle donne nel sostenere le vittime di violenza?
«Sicuramente hanno portato un grande contributo e da anni nelle nostre scuole di formazione marescialli e ufficiali sostengono corsi di formazione per imparare ad approcciarsi proprio a chi ha subito violenza».
In tema di prevenzione del terrorismo come operano le Api?
«Sono aliquote dedicate e impiegate in gran parte dei capoluoghi di provincia. Si tratta di squadre equipaggiate e addestrate in grado di reagire davanti a questo tipo di minaccia. Operano nei comandi provinciali quindi in caso di bisogno riescono a intervenire subito».
E sul fronte traffico di
stupefacenti?«È un tema difficile e bisogna lavorare sempre più ad ampio spettro ed essere costantemente informati, perché il fenomeno è in ascesa e le nuove droghe sintetiche, come lo yaba sono pericolosissime».
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