Verdi, immigrati e cooperative. Se è così aboliamo il Welfare

La cricca di Carminati faceva gli affari migliori infilandosi nelle pieghe delle politiche sociali. Ma se è così tanto vale abolire tutto il Welfare

Perquisizioni dei Carabinieri in Campidoglio nell'ambito di un'inchiesta su un'organizzazione di stampo mafioso
Perquisizioni dei Carabinieri in Campidoglio nell'ambito di un'inchiesta su un'organizzazione di stampo mafioso

Se davvero è questo il welfare italiano allora è meglio chiudere i rubinetti. Roma non è soltanto corrotta, sporca, clientelare, è cinica e ipocrita. Cosa c'è nel mondo di mezzo del Rosso Coop e del Nero Magliana? Dove lucrano? Su cosa fanno affari? Chi sfruttano?

La cosa paradossale di questa inchiesta è che sembra la tangentopoli dei «buoni». Al centro di tutto ci sono i classici temi della solidarietà, del bello, dell'ambiente. Il rosso e il nero si occupano del verde pubblico, della raccolta differenziata, di case popolari, di immigrati, di campi rom. E lì tessono affari, si spartiscono la torta, fanno mangiare i politici, piazzano questo o quello sulla poltrona giusta per continuare a fare i soldi sull'accoglienza, sulla fraternità, sugli ultimi. Lo teorizzano. Sopra ci sono i vivi, quelli che contano, c'è il potere, ci sono i soldi, sotto ci stanno i morti, i fantasmi, gli invisibili, in mezzo ci sono loro, c'è tutto il peggio della destra e della sinistra sociale.

Il meccanismo è semplice e probabilmente questo è solo un pezzo parziale di tutto il sistema. Lo Stato, le Regioni, le città metropolitane riversano fiumi di denaro per politiche sociali. Giusto. Il guaio che gran parte di questi soldi non arrivano a destinazione, si disperdono, vengono intercettati, catturati, dai «professionisti della carità pubblica». Se qualcosa arriva ai disperati è casuale, perché il sistema è costruito per far gestire tutto ai mediatori. Cosa accade? Accade che i signori del mondo di mezzo sono diventati ricchi succhiando welfare e adesso sono più forti e influenti di quelli che dovrebbero controllarli. Sono loro che scelgono chi apre i rubinetti e chi controlla dove finisce l'acqua. E li fanno ballare. Grazie ai rapporti politici, le coop di Salvatore Buzzi ottengono soldi pubblici per rifinanziare i campi nomadi, la pulizia delle aree verdi, e l'accoglienza dei minori per l'emergenza Nord Africa.

La primavera araba diventa un grande affare per i professionisti del bene. Non c'è da stupirsi, quindi, quando nelle intercettazioni, più volte, i protagonisti sottolineano che in tempo di crisi sono il verde, gli zingari e l'immigrazione i settori che fruttano di più. Tutto il resto è fermo, mentre il profitto sulle disgrazie altrui è in costante aumento.

Salvatore Buzzi e Massimo Carminati sono il rosso e il nero di questa storia. Non sono rivali o concorrenti. Sono in società e sono amici. Si sono conosciuti chissà dove, forse in carcere, tutti e due reduci degli anni '70. Secondo la Procura Carminati, il nero, è il capo, che individua e recluta imprenditori e mantiene i rapporti con gli amici d'area, però dagli atti emerge che la mente economica del sodalizio è Buzzi. Il suo «gruppo» di coop fattura 60 milioni di euro l'anno, sedici realizzati solo con le attività di accoglienza immigrati. È Buzzi, il rosso, che cerca nuovi agganci quando il Campidoglio cambia colore. È Buzzi che ogni mese avrebbe pagato, secondo la Procura, l'ex capo segreteria di Veltroni, poi passato alla Provincia: cinquemila euro al mese per indirizzare gli immigrati verso i centri di accoglienza gestiti dalla coop. È Buzzi che cura i rapporti con la Lega delle cooperative e che incontra anche Poletti, l'attuale ministro del Lavoro.

Il sodalizio con il Nero è da fratelli di sangue. Quando Carminati, straricco, teme l'arresto, affida i suoi soldi a Buzzi e dice: «Se crepo sai cosa fare». Non ha dubbi sulla fedeltà dell'amico. E insieme, i due, hanno un portafoglio di amici, clientes, stipendiati e dirigenti politici che li considerano un punto di riferimento per le politiche sociali di Roma e dintorni. Sono il social network dello Stato sociale. Bussano ovunque e, quasi sempre, le porte si aprono.

La domanda allora adesso è: sono solo mele marce? O il welfare state italiano è in gran parte questo? Questa è una riflessione che la politica, a destra come a sinistra, non sta facendo. Eppure il nodo è lì. Questo welfare, come è adesso, è il nostro problema. È tasse. È debito pubblico. È crisi. È la nostra coscienza.

Quanti Rosso e Nero ci sono in circolazione? Quanta gente mangia sulle disgrazie altrui? Il sospetto è che la solidarietà all'italiana funzioni soltanto per i furbi del mondo di mezzo. Lo sappiamo ma (ancora) non abbiamo tutte le prove.

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