Denis Verdini è stato condannato a 9 anni di reclusione dal Tribunale di Firenze nel processo di primo grado per il crac del Credito cooperativo fiorentino (Ccf), banca fallita e da lui presieduta per vent'anni fino al 2010. Dopo sei giorni di camera di consiglio il collegio presieduto dal giudice Mario Profeta ha inflitto al fondatore di Ala 7 anni per bancarotta e 2 anni per truffa. Quest'ultimo capo di imputazione è relativo ai contributi statali illegittimamente ricevuti da Società Toscana di Edizioni (che pubblicava il Giornale della Toscana allegato locale a questa testata) e da Sette Mari (che pubblicava i settimanali Metropoli).
I pm Luca Turco e Giuseppina Mione avevano chiesto 11 anni per Verdini. Il Tribunale ha accolto la gran parte delle accuse rivolte al politico e ai coimputati ritenendolo uno tra i principali responsabili del dissesto del Ccf, utilizzato - secondo la tesi accusatoria - «come un bancomat» per via delle facili erogazioni di finanziamenti. Tra gli altri imputati condannati anche gli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei (5 anni e 6 mesi ciascuno per i proprietari della fallita società di costruzioni Btp) e l'esponente di Ala, il deputato Massimo Parisi (2 anni e 6 mesi). Per Verdini, Fusi e Bartolomei è caduta l'imputazione di associazione per delinquere. Tutti e tre sono stati condannati all'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il Tribunale di Firenze ha disposto la confisca di oltre 9 milioni di euro di contributi erogati dalla presidenza del Consiglio alle due società editoriali riferibili a Denis Verdini negli anni 2008 e 2009. Il collegio difensivo di Verdini, guidato da Franco Coppi, promette battaglia in appello. Il legale di Parisi, il deputato di Fi Francesco Paolo Sisto, ha espresso perplessità «sul corretto governo delle regole processuali».
Per il leader di Ala si tratta, comunque, di un duro colpo considerato che in questi giorni il suo nome è alla ribalta delle cronache giudiziarie relative all'inchiesta sul maxiappalto Consip assieme a quello di Tiziano Renzi, il papà dell'ex premier. Secondo il verbale dell'interrogatorio reso ai pm napoletani Woodcock e Carrano il 20 dicembre dall'ad della società pubblica di procurement, Luigi Marroni, e pubblicato dall'Espresso, vi erano «aspettative ben precise» da parte di «Denis Verdini e Tiziano Renzi» in merito all'assegnazione di gare d'appalto indette dalla Consip del valore di centinaia di milioni di euro. Il manager ha aggiunto che Carlo Russo, imprenditore indagato con Tiziano Renzi per traffico di influenze illecite, in occasione di un incontro gli avrebbe chiesto in modo pressante di favorire una società nel cuore di Denis Verdini (Cofely del gruppo Gdf-Suez), ricordandogli che la sua promozione in Consip era avvenuta proprio grazie ai buoni uffici di Tiziano Renzi e di Verdini. Russo avrebbe inoltro fatto presente a Marroni, secondo quanto messo a verbale, come Tiziano e Denis fossero ancora «arbitri del mio destino professionale», potendo la coppia «revocare» il suo incarico di amministratore delegato della stazione appaltante. L'avvocato e deputato di Ala, Ignazio Abrignani, secondo Marroni, avrebbe chiesto «per conto di Verdini» all'ad di «intervenire» per favorire il gruppo francese nel maxi-appalto di facility management.
Alfredo Mazzei, commercialista ed esponente del Pd napoletano ascoltato dai
magistrati nell'ambito dell'inchiesta, ha dichiarato ieri a Un giorno da pecora che Alfredo Romeo si sarebbe lamentato con lui «dell'eccessiva e improvvisa presenza di Verdini: questo è stato sicuramente oggetto di un colloquio».
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