Viceministro a mani in tasca: rispetta l'Isis ma non il Colle

Viceministro a mani in tasca: rispetta l'Isis ma non il Colle

«Saluta bene il signore». Nell'Italia della normale educazione il rimprovero sibilante di un genitore frustava il bambino poco espansivo dinanzi alla persona incontrata per strada. Nell'Italia grillina invece vale tutto, anzi l'abbattimento di valori comportamentali e consuetudini diventa un «plus» da ostentare con orgoglio.

Negli ambienti diplomatici italiani viaggia da uno smartphone all'altro una fotografia che sta suscitando indignazione. È stata scattata lunedì sera alla Sala dei Corazzieri del Quirinale. Davanti al presidente Mattarella sono schierati i vertici politici del ministero degli Esteri. Il primo a sinistra, il sottosegretario Manlio Di Stefano, se ne sta a mani in tasca mentre il capo dello Stato si intrattiene con il ministro Luigi Di Maio, la viceministra Marina Sereni e la sottosegretaria Emanuela Claudia Del Re.

Non è un brindisi aziendale di Natale, ma la cerimonia degli auguri al Quirinale tra il capo dello Stato e il corpo diplomatico. Mattarella in abito scuro, con le mani raccolte all'altezza del petto, conversa con Di Maio. Entrambi tradiscono scarsa empatia: il presidente delle Repubblica non ha ancora perdonato Luigino che lo scorso anno voleva incriminarlo e destituirlo perché non si spicciava a conferire l'incarico al professor Conte. Ma nella circostanza il leader M5s risulta impeccabile nel suo vestito nero, mani intrecciate davanti al basso ventre. Le due donne della Farnesina, la Del Re e la Sereni, ostentano il viso radioso delle grandi occasioni, la genuina deferenza di una carica istituzionale che si trova al cospetto del primo cittadino italiano. E poi c'è Di Stefano, impacciato o annoiato lo sa solo lui, con le mani in tasca come se fosse infastidito da un barman che si dilunga a preparargli un drink in un locale pubblico.

Nel linguaggio del corpo non c'è un'interpretazione univoca di questa postura. Può significare tutto e il suo contrario: timidezza, imbarazzo, sensi di colpa, persino un eccesso di confidenzialità. Ma non serve rifarsi a Freud per cogliere un atteggiamento maleducato di chi si pone inconsciamente come un vendicatore del popolo escluso da cerimonie protocollari e ricevimenti principeschi. È lo stesso Manlio Di Stefano che cinque anni fa divenne sinistramente noto per uno sproloquio in stampatello su Facebook in cui affermava, una volta per tutte, che «IL TERRORISMO ISLAMICO NON ESISTE». Ed era già deputato M5s anche quando in un'intervista sentenziò che «fenomeni radicali come quelli dell'Isis in Irak sarebbero da approfondire con calma e con rispetto».

Nel manuale del perfetto grillino che passa dal volantinaggio alle alte cariche dello Stato, c'è evidentemente il rituale delle mani in tasca come tributo ipocrita alla purezza anti casta. Il presidente della Camera Fico fu subissato dalle critiche per avere fatto sparire le mani nelle tasche dei pantaloni durante l'esecuzione dell'inno nazionale.

Almeno lui si è redento, sgrossato e rieducato dal presidente Mattarella che gli fa da tutor. Affidiamo alla sua saggezza anche l'improvvido Di Stefano, almeno per insegnarli a dimostrare al capo dello Stato lo stesso rispetto che rende ai tagliagole dello Stato islamico.

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