A novant'anni compiuti, a Bernardo Caprotti tocca entrare nell'albo dei condannati. Il fondatore di Esselunga, l'imprenditore vulcanico che ha cambiato il mondo di fare la spesa in Italia, ieri esce con una condanna a sei mesi di carcere dall'ultima puntata del suo eterno duello con le Coop rosse. Era accusato di ricettazione e diffamazione ai danni di due dirigenti del colosso dei supermercati di sinistra, per lui il pm aveva chiesto un anno e mezzo di carcere: il giudice lo assolve dall'accusa di ricettazione e lo condanna solo per diffamazione. Ma è un osso duro da inghiottire, per l'imprenditore che della battaglia contro lo strapotere delle Coop ha fatto l'orgoglio della sua vecchiaia.Era accusato di avere spalleggiato l'inchiesta di Libero che nel 2010 puntò il dito contro le intercettazioni abusive compiute da Coop Lombardia ai danni dei suoi dipendenti. Intercettazioni audio e video, che esistevano davvero, e sono agli atti del processo: ma che il dirigente Coop che le aveva ordinate ha giustificato con l'esigenza di monitorare le spese telefoniche di una filiale. E insieme a Caprotti vengono condannati il direttore di Libero Maurizio Belpietro e l'ex inviato Gianluigi Nuzzi, che si vedono infliggere dieci mesi per calunnia. Singolare il caso di Belpietro, cui il giudice nega la sospensione condizionale, perché ne avrebbe già usufruito per un'altra condanna al carcere: per questo la nuova pena gli viene tramutata in «libertà controllata», col divieto di lasciare Milano, la visita quotidiana in commissariato, persino il ritiro della patente. Ma si tratta di un errore, perché la prima condanna di Belpietro è stata cancellata da una sentenza della Corte dei diritti dell'uomo.È possibile che prima della sentenza definitiva, sull'intera vicenda delle intercettazioni targate Coop e dell'inchiesta di Libero cali la prescrizione. Ma intanto la botta è forte. Per i due giornalisti, che si vedono condannare per un reato, la calunnia, praticamente mai contestato per un articolo di stampa: «E la cosa straordinaria - dice ieri sera Maurizio Belpietro - è che veniamo condannati per avere pubblicato una notizia vera. Le intercettazioni non ce le siamo inventate noi». Ma la botta è forte soprattutto per Caprotti, finora sempre uscito vittorioso dagli scontri in tribunale con le Coop, buona parte originati dalla pubblicazione del suo pamphlet Falce e carrello.Ora invece arriva la condanna: causata dalla inconsistenza delle accuse che nell'inchiesta di Libero venivano riservate personalmente a due dirigenti delle Coop. Ma le carte dell'inchiesta raccontano che il tema delle intercettazioni abusive era discusso all'interno della Coop ben da prima che uscissero gli articoli di Libero.
Walter Travaini, responsabile della security del Pd in Lombardia fino al 2009, capo della scorta privata di Pierluigi Bersani, ha testimoniato di avere trasportato il segretario del partito insieme a Fabio Quarta e Gianluca Migliorati, i due appaltatori della sicurezza nei negozi Coop, che poi diverranno le fonti di Libero: «Quarta e Migliorati avevano fatto il tragitto insieme con Bersani denunciando situazioni non lecite all'interno di Coop Lombardia, tra cui dazioni di denaro sotto forma di fatture e registrazioni audio e video dei dipendenti». Ma partito e cooperative si guardarono bene dal rivolgersi alla magistratura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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