Il Polo non sfonda, Prodi evita l’avviso di sfratto

Il risultato è un fattore di stabilità per il governo dell’Unione dopo il discusso testa a testa delle politiche

Adalberto Signore

da Roma

Alla fine rimane tutto invariato. Almeno per quel che riguarda le sfide più attese della prima tornata amministrativa post-elezioni. Con la Sicilia e Milano che restano alla Casa delle libertà e Roma, Torino e Napoli che confermano i sindaci uscenti dell’Unione. Il corollario, non di poco conto, sta un po’ nei numeri un po’ nelle aspettative della vigilia. Perché se il netto successo di Sergio Chiamparino a Torino era più che prevedibile (37 punti di vantaggio su Rocco Buttiglione a tre quarti dello scrutinio), in pochi pensavano che a Roma Walter Veltroni riuscisse a tal punto a surclassare il candidato di An Gianni Alemanno fermo al 36,9% (cinque anni fa l’allora sfidante Antonio Tajani arrivò al 47,8). Questo sul fronte strettamente numerico con la Sicilia e Milano che, punto più punto meno, rispettano le previsioni. Attese deluse per la Casa delle libertà, invece, a Napoli dove non cambia l’inquilino di Palazzo San Giacomo. Il sindaco uscente Rosa Russo Iervolino, però, va ben oltre il risultato di cinque anni fa quando contro lo sfidante Antonio Martusciello finì (al ballottaggio) 52,9 contro 47,1. Al primo turno, l’ex ministro dell’Interno tocca infatti il 58,1%, relegando il senatore di Forza Italia Franco Malvano, ex questore del capoluogo partenopeo, al 37 (il dato è riferito a 527 sezioni su 886). Un risultato deludente, soprattutto visto l’impegno della Casa delle libertà nell’ultimo mese di campagna elettorale (più d’una le puntate sotto il Vesuvio di Silvio Berlusconi) e la convinzione più volte ribadita da tutti il leader del centrodestra (dal Cavaliere a Gianfranco Fini fino a Pier Ferdinando Casini) che il ballottaggio fosse a portata di mano.
Risultati, dunque, che in qualche modo stabilizzano il tanto discusso voto del 9 e 10 aprile, rinviando ogni eventuale dibattito sulla politica nazionale al referendum confermativo sulla riforma federale in calendario per il 25 giugno. È chiaro, infatti, che la tanto attesa riscossa cui puntava la Casa delle libertà non c’è stata. Con Buttiglione che a Torino fa peggio del suo predecessore Roberto Rosso, cinque anni fa arrivato fino al ballottaggio e poi sconfitto da Chiamparino 52,8 contro 47,2. E Alemanno a Roma e Malvano a Napoli che seguono lo stesso trend. Colpa anche, secondo molti esponenti della Casa delle libertà, della bassa affluenza al voto che, non è una novità, tende a penalizzare la Casa delle libertà. Più che un calo dei votanti, infatti, c’è stato un vero e proprio crollo, che non può essere spiegato solo con la clemenza del tempo che domenica ha regalato una giornata da estate inoltrata. Ma che forse trova le sue ragioni anche in una campagna elettorale dai toni altissimi che va avanti ormai da gennaio (prima per le politiche, ora per le amministrative) e continuerà fino al referendum. Alle provinciali il dato è quasi allarmante, con un’affluenza del 59,6% (il 16,2 in meno rispetto al 2001). Meno vistoso, ma ugualmente sensibile, il calo nel voto per il rinnovo dei sindaci: il 75% contro l’82 di cinque anni fa (-7%). A Milano, poi, l’affluenza si è fermata al 67,58% contro l’82 del 2001. Dato che potrebbe aver influito sul leggero arretramento di Letizia Moratti (51,7 a un quinto dello spoglio) rispetto a quanto fece Gabriele Albertini (57,5 al primo turno).
Ma al di là dell’affluenza, il risultato di Roma, Torino e Napoli è probabilmente il frutto anche delle troppe divisioni che hanno caratterizzato la Casa delle libertà. Il capoluogo piemontese può valere ad esempio simbolico, visto che alla candidatura di Rocco Buttiglione si è arrivati dopo un duro scontro tra Udc, Lega e Forza Italia, con questi ultimi decisi a bloccare le aspirazioni del centrista Michele Vietti ma niente affatto intenzionati a imbarcarsi in una sfida data per persa. Così, alla fine è toccato - quasi per caso - all’ex ministro dei Beni culturali, una candidatura ufficializzata solo il 27 aprile. A neanche un mese dal voto. Discorso simile, per certi aspetti, può farsi per Roma, con il lungo tira e molla tra Gianni Alemanno e l’udc Mario Baccini.
Sfide di cartello a parte, la tornata amministrativa ha visto chiamati alle urne quasi venti milioni di italiani (19.298.726) per rinnovare anche otto province, altri due capoluoghi di regione e 17 di provincia. In tutto, 1.261 comuni, di cui 123 superiori ai 15mila abitanti e 1.138 inferiori. E nelle province un piccolo spostamento c’è stato. Confermate Imperia, Pavia e Treviso alla Casa delle libertà e Campobasso, Lucca, Mantova e Ravenna all’Unione, è Reggio Calabria che sposta gli equilibri a favore del centrosinistra. Che conferma i risultati delle regionali dello scorso anno e strappa la provincia al centrodestra, con Giuseppe Morabito che a tre quarti dello scrutinio è assestato al 59%). Insomma, da una quattro a quattro si passa a un cinque a tre per l’Unione.
Sul fronte comunali, c’è da segnalare la conferma della Casa delle libertà a Varese, dove il leghista Attilio Fontana passa al primo turno e migliora il risultato del 2002. Restano all’Unione, invece, Ancona (con Fabio Sturani), Barletta (Nicola Maffei) e Savona (Federico Berruti).

Mentre cambia casacca Benevento, dove vince l’Unione con Fausto Pepe. Da segnalare, poi, il buon risultato di Altero Matteoli, ex ministro dell’Ambiente. L’esponente di An, ottiene il 48,9% delle preferenze e diventa sindaco di Orbetello.

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