Il potere logora pure i Fratelli musulmani

Islamisti in calo di consensi: troppe promesse che non riescono a mantenere. Favorito un ex ministro di Mubarak

Il Cairo - Si è chiusa ieri la campagna elettorale per le prime presidenziali libere della storia dell'Egitto. Mercoledì e giovedì 52 milioni di elettori andranno a votare il successore di Hosni Mubarak. Per la prima volta nella loro storia millenaria, gli egiziani hanno assistito a una campagna che è andata oltre i poster e i volantini dei candidati. Per settimane, gli aspiranti presidente si sono spostati ovunque per comizi, pranzi con gli elettori e i finanziatori; due rivali si sono perfino sfidati in un inedito dibattito televisivo.

Sono 13 i candidati in corsa. Tra i quattro con maggiori probabilità di arrivare al ballottaggio non c'è nessun simbolo forte della rivoluzione del 2011. «Anche se nessun candidato ispira molta gioia, un'elezione libera sarà un grande passo avanti», scrive l'Economist. In un Paese dove i sondaggi sono fuorvianti, è difficile fare previsioni. Ed è proprio questa la novità per un Egitto abituato a uno scenario elettorale prefissato: seggi vuoti e oltre 90% delle preferenze per il raìs di turno.
«Abbiamo una grande responsabilità: ricostruire l'Egitto. Dobbiamo lavorare assieme», ha detto in un grande hotel del Cairo, davanti ai capi delle tribù beduine, Amr Moussa, il favorito degli ultimi sondaggi del quotidiano Ahram. L'ex ministro degli Esteri di Mubarak ed ex capo della Lega araba raggruppa attorno a sé chi crede nelle sue forti credenziali diplomatiche e chi vuole evitare un voto islamico. E non importa se è stato parte del crollato regime, come l'ex premier Ahmed Shafik, che insiste sul ritorno alla stabilità in un Paese provato da mesi di arresto sociale. Per i movimenti rivoluzionari lui è l'uomo di Mubarak: il ritorno al passato.

«Lavoriamo tutti per realizzare il progetto di un Egitto forte, puntiamo a ricostruire l'Egitto». Le parole di Abdel Moneim Abdul Fotouh in un recente incontro con le donne al Cairo, fanno eco a quelle del laico e liberale Moussa. Eppure Fotouh, passato alle cronache giornalistiche come il candidato islamista moderato, fino a pochi mesi fa era membro dei Fratelli musulmani. Oggi raduna un elettorato variegato: dai salafiti rimasti senza candidato per questioni legali, a sostenitori della rivoluzione cui manca uno sfidante forte, a militanti della sinistra.

I Fratelli musulmani, in seguito al grande successo elettorale delle parlamentari e dopo aver perso - sempre per questioni legali - il volto di prima scelta, Khairat El Shater, portano avanti una campagna più sotto tono del previsto con Mohammed Morsi, candidato poco carismatico. Secondo un recente sondaggio di Gallup, gli islamisti - Fratelli musulmani e salafiti, che assieme hanno il 70% dei seggi in Parlamento - avrebbero perso un po' d'appoggio popolare. La Fratellanza sarebbe scesa al 42% dal 63% di febbraio. Secondo un deputato liberale, se si votasse oggi per l'Assemblea gli islamisti subirebbero un calo «non drammatico: prenderebbero un 60%. Hanno fatto promesse senza mantenerle. Da quando sono in Parlamento nel Paese nulla è cambiato, in un momento in cui la popolazione ha aspettative alte».

Yahiya Hamad, portavoce della campagna di Morsi, ammette: «Abbiamo perso popolarità dalle parlamentari. Abbiamo fatto errori politici». Lo dice riferendosi all'arresto dei lavori di un comitato per la stesura della Costituzione - monopolizzato dagli islamisti, secondo le altre forze politiche - e alla candidatura alle presidenziali dopo l'inziale promessa di non correre in questa elezione.

Per Shadi Hamid, del Brookings Doha Center, «i Fratelli musulmani hanno senza dubbio perso un po' di sostegno tra le élite del Cairo, ma non si deve esagerare: restano una macchina politica forte nella aree rurali e Morsi può arrivare al ballottaggio».

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