Ci sono libri che trasformano in letteratura qualcosa che si respira nell'aria. Pochi giorni fa il principale quotidiano d'Italia ha pubblicato un servizio di due pagine sulla bella vita dei banchieri che hanno rovinato i loro clienti. Nel nuovo (...)
(...) numero della rivista Vita e pensiero c'è un interessante saggio di Damiano Palano che ipotizza la fine del secolo democratico iniziato nel 1917. Il centro di Milano, nelle ultime manifestazioni, si è riempito di scritte: «I precari non stanno a guardare». In tutti i casi, il pensiero è andato ad Aprile (Fandango, pagg. 132, euro 16) di Jérémie Lefebvre, scrittore, attore e compositore (tra gli altri suoi libri, La société de consolation, 2000). Un romanzo davvero speciale, che sembra catturare il crescente disprezzo (odio) per le élite senza cedere al romanticismo nei confronti del popolo. Da una parte, ci sono i perdenti della globalizzazione, sempre più infuriati, che vivono nelle periferie delle grandi città. Dall'altra ci sono i vincitori della globalizzazione, sempre più sconnessi dalla realtà, che vivono nel centro delle grandi città. I primi sono precari, disoccupati, lavoratori non qualificati. I secondi sono tecnocrati e professionisti. A volte, le rivoluzioni sono innescate da piccoli eventi, che fungono da catalizzatori di tensioni latenti. È quello che accade nella Francia del romanzo. Uno sgombero fa scoppiare la Rivoluzione. Il presidente della Repubblica si mette in salvo a Stoccolma. La nuova Convenzione nazionale assume tutti i poteri. I decreti sono drastici. I ricchi «privilegiati» sono deportati nelle banlieue e rieducati in campi di prigionia. I poveri «martiri» si impadroniscono delle lussuose case nei quartieri borghesi ormai deserti. L'intero sistema economico è ridisegnato in senso collettivistico (ma l'euro resta in vigore). La proprietà privata è quasi abolita. Avvocati, banchieri, milionari, modelle, scrittori, attori sono ghettizzati e obbligati a svolgere lavori umili. La ghigliottina riprende a funzionare: i pezzi grossi della finanza, della politica, dei media sono simboli dell'antico regime e devono essere decapitati. Unione europea e Stati Uniti non sanno come reagire, anche perché la Convenzione ha sequestrato i cittadini delle principali potenze.
Siamo nella fantapolitica ma rispetto a libri recenti, come Sottomissione di Michel Houellebecq (il quale in Aprile fa una brutta fine), quello di Lefebvre è più radicale e meno ideologico. I fatti sono presentati da punti di vista diversi, in una polifonia di testimonianze e stralci di giornali stranieri. Parlano i ricchi e i poveri. Non tutti i poveri sono convinti della bontà della rivoluzione, così come non tutti i ricchi sono convinti di avere meritato i privilegi di cui godevano. L'ordine rivoluzionario è presentato come disumano ma viene il sospetto che anche quello precedente fosse ingiusto. Al lettore il compito di interpretare il romanzo. Non a caso, in Francia, Aprile è stato letto in modi opposti, a seconda dell'orientamento politico dei recensori. Di certo, Aprile lascia turbati. L'odio descritto nel romanzo si respira per strada, forse in Francia le tensioni sociali sono solo più evidenti.
Senza prendere posizione, anzi: lasciandoci la responsabilità di pensarci sopra, Aprile ci suggerisce qualche idea. Quando una società reagisce troppo tardi a un disagio molto diffuso non si sa mai come va a finire ma spesso va a finire in modo brutale. La tensione, prima o poi, esplode nei modi e con gli esiti meno prevedibili. C'è una parte di società che sente di non essere rappresentata nei suoi bisogni e nei suoi interessi. Dei partiti tradizionali non sa cosa farsene: parlano ormai un'altra lingua. I movimenti populisti (di sinistra o di destra) sono un sintomo di questo malessere.
Naturalmente si può far finta di niente e ripetere le scontate ramanzine contro i demagoghi. Questo atteggiamento espone però al rischio di svegliarsi una mattina e scoprire che non è più Aprile ma Germinale.Alessandro Gnocchi
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