«Il pettegolezzo oggi ha cambiato nome, si chiama gossip. Sembra diventato una cosa innocente, invece è una delle cose che più inquinano il vivere insieme». Parola di padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, che ha dedicato la sua terza predica di Quaresima davanti al Papa alla carità e a come essa si coniuga con l'evangelico «non giudicate e non sarete giudicati».
Il padre cappuccino insiste molto sui danni da gossip fino a una proposta che sembra quasi provocatoria, mettere nero su bianco il divieto di sparlare del prossimo: «In molti locali pubblici una volta c'era la scritta: "Qui non si fuma", o anche "Qui non si bestemmia". Non sarebbe male sostituirle in alcuni casi con la scritta: "Qui non si fa pettegolezzo!"».
La predica di padre Cantalamessa è di particolare attualità in un momento in cui il gossip, il chiacchiericcio su presunte (e non accertate) nefandezze o anche solo difetti altrui è al centro della vita sociale e anche politica. Un tempo la si chiamava «cultura del sospetto», oggi la si potrebbe definire «cultura del gossip». Dilungarsi in esempi concreti è inutile, tanto l'abitudine sia universalmente diffusa.
«Un ambito importante su cui lavorare è quello dei giudizi reciproci. Paolo scriveva ai Romani: "Perché giudichi il tuo fratello? Perché disprezzi il tuo fratello?... Cessiamo dunque dal giudicarci gli uni gli altri" (Rm 14, 10.13). Prima di lui Gesù aveva detto: "Non giudicate, per non essere giudicati. Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?" (Mt 7, 1-3)».
Padre Cantalamessa ricorda che Gesù «paragona il peccato del prossimo (il peccato giudicato), qualunque esso sia, a una pagliuzza, in confronto al peccato di colui che giudica (il peccato di giudicare) che è una trave. La trave è il fatto stesso di giudicare, tanto esso è grave agli occhi di Dio».
Naturalmente non si tratta di un invito a chiudere gli occhi e a evitare di vedere malefatte, perché - spiega padre Raniero - i fatti vanno guardati a occhi aperti. Ma è l'atteggiamento a segnare la differenza: «Non è tanto il giudizio che si deve togliere dal nostro cuore, quanto il veleno dal nostro giudizio! Cioè l'astio, la condanna». E ancora: «Nella redazione di Luca, il comando di Gesù: "Non giudicate e non sarete giudicati" è seguito immediatamente, come per esplicitare il senso di queste parole, dal comando: "Non condannate e non sarete condannati" (Lc 6, 37). Per sé, il giudicare è un'azione neutrale, il giudizio può terminare sia in condanna che in assoluzione e in giustificazione».
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