Roberto Scafuri
da Roma
Il governo accelera il ritiro dallIrak, ma sulleventualità di un impegno civile e della sua «necessaria copertura militare» (800 uomini ha quantificato il capo di Stato maggiore dellesercito, generale Filiberto Cecchi) ancora si discute. «Già a giugno ridurremo i nostri effettivi da 2700 a 1600 uomini», preannuncia il ministro degli Esteri, Massimo DAlema, a una trasmissione tv, dopo che un vertice di due ore a Palazzo Chigi, con il premier Prodi e il titolare della Difesa, Arturo Parisi, in mattinata non aveva risolto alcuni dei nodi sul tavolo. Legislativi (uno o due decreti per ritiro e finanziamento), militari (il come e il quando), politico-economici (mantenere una presenza civile senza contraddire il programma).
Laccelerazione formale consente un rinvio: così il «provvedimento sul ritiro dallIrak e quello per il rifinanziamento delle missioni» finiscono al primo posto dellagenda inviata dal governo ai presidenti delle Camere. E la calendarizzazione attenderà gli «accertamenti tecnici». Farnesina e Difesa parleranno di «consultazione preliminare»: i ministri «hanno prospettato a Prodi una serie di possibili opzioni per il ritiro delle forze e la riqualificazione civile della missione». Fonti della Farnesina preciseranno che la decisione sarà «in tempi rapidi», forse già al Consiglio dei ministri del primo giugno.
Che la nostra presenza militare «nei prossimi mesi si esaurirà», come dice DAlema in serata, è insomma ormai assodato. «I tempi tecnici dipendono da diversi fattori», spiega il ministro degli Esteri che lascerebbe «queste questioni ai militari: a differenza degli spagnoli noi siamo responsabili di una vasta area, dobbiamo lasciarla in modo coordinato con le forze irachene e britanniche, e abbiamo una ingente quantità di mezzi e uomini che richiede unoperazione lunga e complessa».
E se Prodi non vuole aggiungere una parola sui contenuti del vertice, il DAlema televisivo cercherà di imprimere la sua linea, cui si uniforma volentieri il vicepremier Rutelli («Decideremo tutti assieme, ma le date vanno concordate con il governo di Bagdad, non possiamo abbandonare il popolo iracheno»). «Non sarà una fuga e lItalia non cessa il suo impegno di solidarietà», precisa il titolare della Farnesina, che immagina di sostituire limpegno militare «con un impegno civile altrettanto risoluto» e di sostenere «il governo iracheno nei suoi sforzi così difficili di dotarsi di istituzioni stabili». Faremo tutto il possibile, aggiunge DAlema, «nella speranza che questo si allarghi verso un comune impegno europeo». Rispetto alla linea del precedente governo ci sono diversità perché «stiamo lavorando - presto presenteremo un piano - per un disimpegno militare effettivo e pieno». E non è detto che occorra una «copertura militare allimpegno civile, perché ci sono Paesi presenti in Irak senza contingente militare».
Una linea sposata in pieno dal sottosegretario alla Difesa, Lorenzo Forcieri, deciso a salvare «quanto di buono è stato fatto, a non sprecare gli enormi sacrifici, anche in termini di vite umane, finora sostenuti». Per questo, «più si anticipa la chiusura di questa pagina, meglio è, perché vuol dire che si anticipa una missione civile, magari assieme alla Ue, che aiuti e garantisca la sicurezza alla popolazione civile». Una copertura di circa 600-800 uomini potrebbe essere auspicabile, per Forcieri, che assicura: «Non si tratterebbe di un prolungamento fittizio della missione attuale». Ma leventuale presenza di militari italiani in Irak preoccupa la sinistra radicale. Rifondazione tiene a precisare la linea del programma, «sullIrak nientaffatto reticente». Il viceministro degli Esteri, Patrizia Sentinelli, ribadisce che «le truppe vanno ritirate da subito, nei tempi tecnici necessari». Apre anche a una presenza civile italiana: «Può esserci, ma solo con una netta discontinuità rispetto alloperazione precedente». Quello che non gioverebbe «è giocare sui numeri di uneventuale copertura».
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