Dopo la «primavera araba» Israele prevede l’autunno caldo

Sotto la guida di Obama che ha fatto da amplificatore all’ansia dell’Europa, il dialogo fra Occidente e Islam ha acquistato toni surreali e il G8 dei giorni scorsi li ha resi evidenti. A Deuville si è di nuovo e di nuovo esaltato la promessa della Primavera Araba, e il contenuto democratico del grande cambiamento. Secondo il nostro «piano Marshall» a Tunisia e Egitto andranno ora in dono dai 20 ai 40 milioni di dollari. Non è detto che qualcosa di buono non ne venga fuori prima o poi, ma non ci stiamo cautelando e non cauteliamo come è nostro dovere quei popoli di fronte segnali di profondo antagonismo contro di noi e di estremismo interno che minacciano di travolgere in una frana bellica primavera, estate, autunno e inverno. Per decenni le autocrazie mediorentali hanno fatto pagare alla loro gente la dittatura, e noi in cambio di una parvenza di stabilità lo abbiamo consentito. Ora potremmo essere noi - l’Occidente, l’Europa, Israele - coloro che l’indottrinamento dei nostri protegé al loro popolo ha designato a pagare il prezzo ultimo.
Lo scenario mostra qualcosa che non vogliamo nominare: si chiama guerra. In Libano l’assalto ai nostri soldati è un chiaro segnale di Bashar Assad per spiegare che in Siria ucciderà tutti i dissidenti che vuole e che è vietato occuparsene; ma è anche un invito allo sgombero per l’Unifil, la forza di interposizione dell’Onu fra Israele e Libano. L’Unifil non è servita a molto a causa delle sue regole di ingaggio: sotto il suo naso il riarmo degli Hezbollah, la milizia sciita mossa dalla Siria e dall’Iran, è stato enorme, E ora sono pronti a colpire con migliaia di missili anche Tel Aviv. Ma è servita a evitare le incursioni e lo stillicidio di missili sulle cittadine israeliane. Cacciare Unifil significa che gli italiani, o gli spagnoli non stiano nel mezzo a intralciare il fuoco contro Israele. E non c’è gruppo locale che attaccherebbe senza il permesso di Hezbollah. Che Hezbollah pensi alla guerra, lo si deduce da tutti i movimenti dell’area.
I Paesi arabi in questi ultimi due giorni, mentre prepariamo i nostri regali, hanno fatto due mosse: la prima, combattere la risoluzione europea che, su proposta inglese, francese e tedesca, condanna gli eccidi di Assad in Siria. L’Organizzazione della conferenza islamica (57 Stati) ha mandato una lettera all’ambasciatore francese all’Onu Gerard Araud chiamando la bozza «un’interferenza negli affari interni siriani». I cinesi e i russi a loro volta sono convinti che si tratti, come dice il vice ministro degli esteri Sergei Ryabkov, di un’iniziativa «fuori tempo e inutile». Nel frattempo la Lega Araba ha approvato la richiesta di Abu Mazen, contro la presa di posizione americana sancita dallo stesso Obama qualche giorno fa, di schierarsi per la richiesta di riconoscimento unilaterale di settembre di uno Stato Palestinese all’Onu. Una posizione molto estremista specie dopo l’unificazione fra Fatah e Hamas: Abu Mazen a Doha ha aggiunto che in nessun caso intende sedersi di nuovo con Israele e ha anche esclamato che uno stato Palestinese sarà «purgato da ogni presenza ebraica». Judenrein, insomma. Tutta la Lega e in particolare il Qatar hanno incitato a “congelare il processo di pace”. Il Qatar è particolarmente vicino all’Iran e questo ci porta all’Egitto, che con un clamoroso gesto di apertura nei confronti di Hamas ha aperto il valico di Rafiah: adesso è libero il passaggio, l’importazione, l’esportazione, di uomini e oggetti, certo non solo caramelle, per lo staterello dell’organizzazione terrorista. Mubarak combatteva Hamas che importava terrore non solo in Israele ma anche a casa sua, dove era sodale della Fratellanza Musulmana. L’Egitto ha lasciato fiorire in questi mesi post Mubarak una Fratellanza che si dimostra la più organizzata fra le forze politiche, ma soprattutto ha creato un’autostrada di rapporti privilegiati con l’Iran: trattati, scambio di ambasciatori, passaggio dal Canale di Suez. Un’alleanza sunnita-sciita collaudata finora da chi è partner nella guerra di jihad (Hamas-Iran, Bin Laden-Iran).
Non sta fermo ad aspettare l’altro grande protagonista sunnita, l’Arabia Saudita, che per supplire all’assenza degli Usa come ago della bilancia e difensore ultimo, sta mettendo insieme una larga alleanza che comprende anche il Pakistan, la Malesia, l’Indonesia, gli Stati dell’Asia Centrale. Ha proposto persino un’allargamento del Consiglio del Golfo al Marocco e alla Giordania. Tutto questo, per essere pronti a ciò che veramente promette la primavera araba, ovvero una ripresa a settembre su cui potrebbe lanciarsi l’Iran con Hamas, Hezbollah, Siria.

Il riconoscimento di uno Stato Palestinese da parte dell’Onu può creare la reazione eccitata di chi immagina di far fuori Israele per vie burocratiche prima, e poi seguire con le vie di fatto; e in caso di rifiuto dell’Onu, è all’orizzonte una ben probabile jihad di ira. In ambedue i casi l’Iran, più ancora dei palestinesi, prepara un settembre movimentato in combutta con tutti i nemici di Israele. Occhio prima di distribuire aiuti.

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