Difficile conciliare linee e sensibilità così distanti. Lo sa bene anche Silvio Berlusconi che mercoledì sera - durante il summit del Pdl a Palazzo Grazioli - ha preferito non sbilanciarsi troppo quando falchi e colombe esponevano chi le ragioni per cui si dovrebbe tornare al voto già ad aprile e chi i motivi per cui è invece impraticabile l’idea di «staccare la spina» al governo Monti. Il Cavaliere ha soprattutto ascoltato, s’è limitato a dire che le prossime settimane saranno decisive perché «molto dipenderà dalla crisi» ma non è andato oltre. Chi lo ha sentito ieri racconta l’ex premier «pensieroso», deciso a «dare un cambio di marcia al Pdl» che già il mese prossimo potrebbe cambiare nome (Berlusconi continua a buttare lì l’idea di un ritorno a «Forza Italia», ma è chiaro che gli ex An difficilmente potranno accettarlo) ma cosciente del fatto che «al momento è davvero difficile sfilarsi» perché «passeremo da irresponsabili» e «gli elettori ci punirebbero nelle urne». Concetto ripetuto sia da Gianni Letta che da Fabrizio Cicchitto.
La linea, dunque, al momento resta quella di «tenere alta la tensione». Di «incalzare il governo» e far capire al Pd, al Terzo polo ma anche a Mario Monti che «l’appoggio del Pdl non è scontato». Ecco una delle ragioni del voto di ieri alla Camera, dove il governo è stato battuto due volte sui rapporti tra Italia e Libia in materia d’immigrazione. L’esecutivo aveva dato parere contrario alle mozioni di Radicali e Italia dei Valori e il Pdl ha deciso di astenersi. Un segnale per far capire che anche il Pdl può trovarsi a «dissentire dalla linea dell’esecutivo».
Così sarà sulle liberalizzazioni. La bozza del governo è allo studio a via dell’Umiltà e oggi è prevista una conferenza stampa in cui Angelino Alfano dovrebbe formalizzare la posizione del partito. Che punta soprattutto ad evitare «misure punitive» per quella che è una sua fetta di elettorato. Stesso discorso per la riforma della legge elettorale, su cui in questi giorni molto si sta spendendo il Quirinale. La questione è stato uno degli argomenti di discussione ieri pomeriggio sul Colle dove Giorgio Napolitano ha incontrato Alfano, Cicchitto e Maurizio Gasparri. Sul punto il Pdl è molto cauto e guarda con una certa perplessità ad una modifica del sistema di voto che lo allontanerebbe ancora di più dalla Lega. Ecco perché l’idea è quello di non chiudere le porte subito ma di mettere in prima fila le riforme istituzionali. Si parta da lì, insomma. Poi si rimetterà mano alla legge elettorale. Magari fra qualche mese quando sarà anche più chiaro come è destinato a finire lo scontro interno al Carroccio tra Umberto Bossi e Roberto Maroni. Non è un caso che ieri sera Alfano abbia così commentato su Twitter il faccia a faccia al Quirinale: «Terminato incontro con Napolitano. Dal Pdl ok alle riforme per uno Stato più moderno. Ridurremo i parlamentari e a sceglierli saranno i cittadini». Prima l’architettura dello Stato, dunque, e dopo il sistema di voto.
Sullo sfondo - e ad alimentare le insofferenze anche di molti di quelli che fino a qualche settimana fa invitavano a riallacciare il dialogo con l’Udc - una certa agitazione per le ultime mosse di Pier Ferdinando Casini. Il fatto che il leader centrista non abbia lasciato margini sul voto per Cosentino fa infatti dire a molti che «Casini mira ad usare il governo Monti per distruggere il Pdl». E il messaggio di uno solitamente prudente come Maurizio Lupi è piuttosto chiaro. «Casini - diceva ieri in Transatlantico - stia attento.
Se pensa di usare Monti contro di noi si sbaglia di grosso. Il giorno dopo va a casa questa maggioranza, che tutto è fuorché politica, e anche Monti. E la responsabilità sarà solo di Casini». Un messaggio anche per il presidente del Consiglio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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