Nel 1915, in piena Guerra mondiale, il regime dei Giovani Turchi fece deportare gran parte degli armeni di Turchia nelle lontane terre dellAnatolia orientale: a esser precisi, comè storicamente accertato, questi armeni furono affamati e violentati e decapitati e impalati nella misura di un milione e mezzo di cristiani, ciò che è stato definito il primo grande genocidio del Novecento e ciò che la storiografia ufficiale della Turchia seguita scandalosamente a negare.
Stiamo parlando, si badi bene, del quaranta per cento della popolazione armena massacrata nel corso di poche settimane, lutto che gli armeni celebrano da allora come il primo genocidio del XX secolo. Svariate fonti storiche spiegano peraltro che Adolf Hitler, nel prefigurare lo sterminio degli ebrei, si ispirò chiaramente a quello degli armeni, tanto da dire, in un celebre discorso del 22 agosto 1939, che nellinvadere la Polonia occorreva massacrare «uomini e donne e bambini» senza preoccuparsi di eventuali conseguenze future: «Chi mai si ricorda oggi», si chiese, «dei massacri degli armeni?».
Pochissimi ancora oggi: tanto che ancoroggi si fronteggiano coloro secondo i quali si trattò di un genocidio pianificato e altri che si limitano a definirlo un banale scontro tra etnie, benché sanguinoso. Il punto è che anche i genocidi hanno i loro conflitti di interesse. È per questo che lo storico americano Guenter Lewy, ebreo, celebre storico del nazismo, ha ricostruito la vicenda attraverso un imponente lavoro su archivi riservati e sulla base di testimonianze dei sopravvissuti: il risultato è il primo e vero lavoro di storia, nonostante frammentarie documentazioni non mancassero, su una delle pagine più oscure del Novecento, ricostruita da Lewy minuziosamente e con unimpressionante mole di fonti, evitando la polemica interpretativa e concentrandosi invece sul racconto (Il massacro degli armeni. Un genocidio controverso, Einaudi, pagg. XVI-394, euro 25, traduzione di Piero Arlorio).
Ciò che va detto è che agli europei, di cotanta questione, è parso importare poco per troppo tempo. La polemica riaffiorava periodicamente in altre parti del mondo, quando appartenenti alla diaspora armena sollecitavano il riconoscimento del genocidio da parte dei parlamenti di stati vari, col governo turco ogni volta a minacciare ritorsioni. Più ancora che le sofferenze degli armeni, il punto centrale sembrava la premeditazione: se il regime dei Giovani Turchi, ossia, avesse organizzato intenzionalmente quellazione che portò centinaia di migliaia di uomini (e donne e bambini sloggiati dalle loro case senza preavviso) a un penoso cammino tra montagne e lande sino alla morte per stenti e malattie o semplice assassinio.
Nel 1987 ci fu una mozione del parlamento europeo che diceva chiaramente che la Turchia sarebbe stata fuori dallEuropa sinché non avesse ammesso il genocidio; in seguito, il genocidio fu riconosciuto da Argentina, Russia, Grecia, Libano, Belgio, Cipro, Svezia, Bulgaria, Francia e soprattutto Vaticano (lattivismo di Giovanni Paolo II fu straordinario) e nondimeno dallItalia: il Parlamento italiano, allunanimità o quasi, riconobbe il genocidio armeno il 17 novembre 2000. A non riconoscere il genocidio armeno, dato il loro eccellente rapporto coi turchi, sono rimasti giusto Inghilterra, Germania, Israele e Stati Uniti: lopportunità politica in questo caso consiste nel non ammettere, formalmente, qualcosa che è però inopinatamente esistita, e il libro di Guenter Lewy ne è forse la dimostrazione storica più importante.
Resta il fatto che i rapporti tra Armenia e Turchia sono più tesi che mai. Nel 2000, come ricorda anche Lewy, si tentò di organizzare una commissione congiunta per affrontare il problema, ma saltò quasi immediatamente. Risultò che la premessa della commissione stessa era che non si occupasse del genocidio, e non fu chiaro di che cosa altrimenti doveva occuparsi.
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