Primo record del governo: le dimissioni annunciate

Gianni Pennacchi

da Roma

La mannaia di Romano Prodi è calata ieri pomeriggio alla Camera, nel question time. «Sono qui per mettere in atto il nostro programma e per realizzarlo con questa coalizione. Anche se molti si applicano in direzioni diverse, ed è una applicazione in cui in questi giorni tanti si dedicano, io non vedo alternative a questa coalizione e a questo Governo», ha sentenziato il premier mentre Fausto Bertinotti ascoltava beato, le estreme dell’Unione sfoderavano sorrisi rassicurati, e di certo fischiavan le orecchie a Franco Marini, a Francesco Rutelli e a gran parte dei centristi dell’uno e dell’altro polo, forse anche sull’alto del Quirinale. Un niet secco a chiunque propone larghe intese o vagheggia la Grosse Koalition, ma non solo ai “tedeschi” come vengono dileggiati dai duri e puri del centrosinistra. Prodi ha sbattuto la porta in faccia anche a quanti, numerosi pure all’ombra della Quercia, si domandano preoccupati per quanto tempo ancora si possa andare avanti a colpi di fiducia. Ma niente. Sarà l’arroganza che non gli difetta, sarà lo scudo di Prc, Pdci e Verdi che lo protegge dalle insidie degli alleati maggiori, la linea del prof col record di sei voti di fiducia in trenta giorni, è quella di Stalingrado e degli Inti Illimani: avanti così compagni, venceremos!
Francesco D’Onofrio sorride sconsolato nello sfogo di un centrista, tedesco convinto: «Finché da una parte c’è chi si muove come se avesse stravinto, e dall’altra chi non s’è reso ancora conto d’aver perso, il perdente vincitore come lo chiama Giuliano Ferrara, noi che possiamo fare?» Poi prevale il ruolo di capogruppo dei senatori Udc, e ironizza: «Qui al Senato ormai, non si vota più. Se continua così, a settembre dovremo chiedere udienza al Quirinale e chiedere a Napolitano che consenta al governo un voto di fiducia generale e onnicomprensivo, valido per tutta la legislatura. Così chiudiamo il Senato e non se ne parla più». Prodi che ha invitato a cena Marco Follini per blandirlo, prospettando all’ex segretario dell’Udc e ad un paio di suoi amici, un «allargamento» dell’attuale maggioranza? «È ovvio che se Follini passasse di là lo ricoprirebbero d’oro!», risponde D’Onofrio, «ma è altrettanto ovvio che Follini non ci pensi nemmeno, perché anche lui convinto della necessità di una Grosse Koalition». Sorride divertito e chiosa: «Per una volta, come Berlusconi. Anzi, di più». E Pier Ferdinando Casini che strizza l’occhio a Rutelli, si preparerebbe al salto se il castello dovesse improvvisamente cedere? «È Cossiga che mette in giro questa tesi, e Casini è disperato, non sa più come arginarla. “Non posso mica ucciderlo per farlo stare zitto”, si lamenta. Ma non date retta, la realtà è quella dello stallo. Si danza sull’orlo del precipizio aspettando settembre».
Cossiga però, è uno che vede lontano e precorre i tempi, anticipando ogni fantasia dei suoi più giovani comprimari. Per questo, memore del ’98 e degli straccioni di Valmy, Prodi lo teme. Lo guarda con sospetto anche Bertinotti, presidente della Camera, che l’altro ieri ha dato l’input a Prodi sentenziando che «i poli non devono cedere alla tentazione di reciproche erosioni», l’igiene democratica prescrivendo alla maggioranza di provare «a governare per 5 anni con le forze che gli hanno attribuito gli elettori». Bacchettata sui denti al collega del Senato, che domenica ha sollecitato l’apertura di un dialogo tra i due poli come «una risposta non solo giusta ma indispensabile» a questa situazione di allucinata resistenza: a Palazzo Madama non si tolgono mai l’elmetto e Marini giudica una follia «ritenere che il miracolo possa ripetersi all’infinito». Schiaffo per Rutelli, per Giuliano Amato, per Clemente Mastella e per quanti nell’Unione, appunto i tedeschi, vedono il destino del centro sempre più soffocato nel cappio della sinistra radicale. Se non uno schiaffo, quanto meno uno sgarbo all’indirizzo del presidente Napolitano, che sprona ad «allargare i consensi» ed era contrario alla fiducia sull’Afghanistan.
Ma anche nella sinistra moderata, fra quanti rifuggono le suggestioni della Grosse Koalition, monta lo sgomento per la linea oltranzista di Prodi e Bertinotti.

Gli dà voce Anna Finocchiaro, dalemiana di spicco e capogruppo della Quercia al Senato, avvertendo che «non si può andare avanti a colpi di fiducia»: almeno un «punto di incontro» con la Cdl sulle «questioni strategiche» va cercato.
Intanto, si fa come vuole Prodi. E se domani sarà ancora in sella, ci si rivede a settembre.

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