Stefano Filippi
Il destino aveva già provato una volta a prenderselo in volo. Perché era il volo la vera passione di Giorgio Panto, primo industriale italiano dei serramenti in legno, editore televisivo, politico rompiballe, personaggio scomodo ed eccessivo. Era il 20 settembre 1989, aveva 48 anni ed era fresco di brevetto aereo, ma quella volta ai comandi del Piper Cheyenne c'era ancora il suo istruttore: «Un fulmine nel volo a vista, una cacca in quello strumentale», raccontò. Li colse la nebbia a dieci chilometri dalla pista di Treviso. Il piccolo apparecchio si schiantò contro un albero, travolse 56 filari di viti, ma gli occupanti non si fecero un graffio. «Sei ore dopo ero col pelo dritto ai comandi di un altro bimotore». L'elica tutta contorta del velivolo è appesa nel suo ufficio.
Anche la prima televisione, Antenna 3, gli piovve dal cielo: il proprietario era un amico dell'aeroclub. Fatturava tre miliardi l'anno e ne perdeva due. Lui la prese, dopo qualche anno fissò l'appuntamento notturno con le spogliarelliste di «Colpo grosso» e ne fece una tv di successo. Adesso, dopo le acquisizioni di Telenordest e Telealtoveneto, le emittenti di Panto si vedono da Milano a Trieste. Lo chiamavano «il Berlusconi del Nordest», dall'imprenditoria alla tv alla politica fino agli aerei privati, ma lui s'infastidiva. Perché ognuno è se stesso, diceva. Ma anche perché considerava il Cavaliere un po' troppo incline al compromesso.
Panto, invece, si vantava di essere come il tek, il legno con cui costruiva gli infissi e sul quale ha eretto il suo piccolo impero: tutto d'un pezzo. Gli piaceva da matti, quel legname invulnerabile. Sei mesi fa, dopo le elezioni, seduto sui 92mila voti veneti che avevano segnato la sconfitta del centrodestra senza però fruttargli la poltrona di senatore, era tutto contento per la «supposta di tek» rifilata a Giancarlo Galan, il governatore veneto, reo di averlo ignorato. In politica Panto applicava un metodo semplice: rompere le scatole. Per la verità, lui usava un'altra parola.
Era veneziano di terraferma, di Meolo, ma si era trasferito in provincia di Treviso. Aveva imparato in Baviera, da ragazzo, come trasformare l'aziendina di famiglia fondata nel 1910: rincorrendo le bionde (le birre e le ragazze) aveva scoperto i negozi dove si vendevano porte e finestre già pronte. Serramenti «prêt-à-monter». Dall'America arrivava il franchising, le catene di botteghe in licenza. E il gioco era fatto: il piccolo artigiano di San Biagio di Callalta stava per trasformarsi nel primo imprenditore italiano nel settore degli infissi e dell'arredo per giardino. Capannoni per 100mila metri quadrati, 500 dipendenti, 100mila tra porte finestre e tapparelle fabbricate ogni anno, un fatturato pari a circa 70 milioni di euro. Filiali dall'Indonesia alla Costa d'Avorio, dal governo del Ghana i diritti esclusivi per sfruttare le foreste di tek. E un'isoletta nel cuore della laguna veneta, Crevan, tra Burano e Torcello, protetta da un fortino napoleonico, dove atterrava nei fine settimana. Anche nell'ultimo.
I serramenti però non gli bastavano. Si reinventò come tycoon televisivo. E poi come portavoce dell'insofferenza veneta verso tutto quello che ricorda lo Stato anche alla lontana: tasse, burocrazia, sindacati, partiti, sperperi, posto fisso. Cominciò stampando a pagamento i suoi proclami su paginate di giornale. Continuò rompendo i cosiddetti a Confindustria: cacciato. Li ruppe anche a quelli delle piccole e medie imprese: cacciato pure lì. Passò alla Life (Liberi imprenditori federalisti europei), presidente nazionale su invito del fondatore Fabio Padovan: litigi e spaccature. Decise allora di entrare in politica, da dove nessuno avrebbe potuto estrometterlo: «Quanto spendo per le campagne elettorali? Che ve ne frega - rispondeva - sono soldi miei, ne faccio ciò che voglio anche perché non ho rimborsi».
Dopo una vita passata a votare Dc e liberali, Panto si fece un partito carico di echi berlusconiani: "Nuova Italia" si chiamava la creaturina; anno di fondazione 1994, lo stesso della discesa in campo del Cavaliere. Dodici mesi dopo raccolse 130mila preferenze alle regionali. Passati altri 12 mesi, l'anno in cui il Bossi indipendentista vuotò la prima ampolla padana in laguna, la Lega gli offrì un seggio al Senato. Poi Panto passò alla Lega autonomia veneta.
Ma il salto di qualità è del 2004, quando nacque Progetto Nordest contro la Lega e contro Galan, con l'obiettivo di federare Veneto, Trentino e Friuli in un'unica regione autonoma. Elezioni regionali 2005: 6 per cento e due consiglieri.
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