In principio? Amore e tifo

Valeria Arnaldi

Dichiarazioni d’amore, auguri per compleanni e anniversari, primi appuntamenti e baci, addii, provocazioni, commenti politici, sportivi, insulti, frasi senza senso, disegni, scarabocchi. Strati su strati di scritte fatte con pennarelli o spray raccontano la storia di Roma, o meglio, i pensieri dei romani, direttamente da muri, palazzi e monumenti. I rari interventi di pulizia effettuati dall’amministrazione consentono di seguire le evoluzioni di filosofie e tendenze semplicemente guardandosi intorno in una sorta di «archeologia» del graffito.
Poche le regole: l’usura dei colori e delle superfici può essere un indicatore dell’età della scritta. Vanno bene anche le date spesso apposte a margine - facendo attenzione a distinguere quelle di esecuzione da quelle di nascita - e i richiami all’attualità. È del 1973 la scritta a lungotevere Oberdan che ricorda il derby calcistico capitolino in cui la Lazio abbandonò la curva Sud per la Nord. L’evento è sintetizzato nel romanista «curva nord non per scelta» e nell’insulto di risposta lasciato dai laziali nel gennaio 1974. Anche il faro del Gianicolo oggi è quasi interamente coperto di scritte. Per lo più sono dichiarazioni d’amore con rimandi da un anno all’altro o da un partner al successivo: è del 2004 la movimentata storia di Claudia, che assicura all’ex-fidanzato «rimarrai in me anche se mi hai fatto tanto male» ma un mese dopo festeggia la nuova relazione con Paolo. Non mancano correzioni e scritte in lingue straniere fatte da turisti convinti che si tratti di una tradizione della città. Tale sembra considerarla anche il Comune che non ha provveduto a far pulire la zona neanche per la posa della targa del trentesimo anniversario del golpe in Argentina, oggetto di una cerimonia alla presenza del sindaco Walter Veltroni lo scorso marzo.
In via Bernardino Ramazzini e in via delle Mura Aurelie si trovano murales anni ’90. A Prati scritte sportive del 2000 per lo scudetto della Lazio, del 2001 per quello della Roma. Inevitabili quelle per la vittoria dell’Italia agli ultimi mondiali: si trovano ovunque in città, anche su Palazzo Venezia e, in latino non proprio corretto, su lungotevere Michelangelo. Avrebbero trent’anni per i residenti le scritte in via Gerolamo Belloni, a Vigna Stelluti e i vari «sporca borghesia con te muoia l’ipocrisia» al Fleming. Di difficile datazione i murales in vicolo di Santa Rufina, via della Lungaretta e vicolo di Santa Maria in Trastevere: a cancellarli è solo il crollo dell’intonaco dei palazzi. Nel corso degli anni sono cambiati colori, stili, autori. Un tempo a scrivere sui muri erano i «bulletti» di periferia, oggi, sono per lo più giovani della Roma bene, che si divertono a sfidare le autorità con scritte e disegni sempre più grandi e provocatori. Delle scritte romane si parla perfino su internet. C’è chi le condanna, come Amedeo che su weblog.it è perentorio: «Solo un giovanilismo buonista può far passare le scritte sui muri di Roma per Pasquinate. Si tratta per lo più dei segni di un terrorismo vero e proprio che sta violando giornalmente la città». Ma anche chi le nobilita (su tesoridiroma.it si cita Belli con «ssi cc’è mmuro bbianco io je lo sfreggno») e chi rimpiange quelle dell’infanzia. Su propilei.splinder.

com si legge: «C’era ti amo Costanza ma senza speranza su ponte Flaminio che ha accompagnato il ritorno dallo stadio di mezza Roma ogni domenica per anni». Alla fine, il giudizio è lo stesso per tutti: sui muri di Roma di scritte ce ne sono davvero troppe. Forse per questo da qualche anno i writer prendono di mira anche l’asfalto.

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