Milano - Può darsi che il processo a Silvio Berlusconi per il «Rubygate» decolli con lentezza, costretto com’è a farsi largo tra gli impegni istituzionali e le altre udienze che attendono il premier. Ma una sentenza in tempi brevi sulle abitudini erotiche del capo del governo potrebbe arrivare lo stesso: la Procura della Repubblica annuncia ieri mattina la richiesta di rinvio a giudizio per i tre coimputati del Cavaliere, coloro che secondo l’accusa avrebbero selezionato e reclutato le ragazze da mandare ad Arcore. La Procura chiede di processare per induzione alla prostituzione Emilio Fede, direttore del Tg4, l’agente di spettacolo Lele Mora e la consigliera regionale Nicole Minetti. L’udienza preliminare dovrebbe tenersi entro il mese prossimo. Il processo, se la richiesta della Procura venisse accolta, potrebbe cominciare appena dopo la pausa estiva.
Lo schema applicato dai pm milanesi potrebbe essere lo stesso del «caso Mills»: le accuse al capo del governo verrebbero discusse e verificate in un processo in cui formalmente Berlusconi non siederà sul banco degli imputati. Ma fatti, testimonianze e intercettazioni saranno esattamente gli stessi. Ed è chiaro che se si arrivasse a una condanna degli imputati questa rimbalzerebbe i suoi effetti politici e mediatici anche sul premier.
Fede, Minetti e Mora sono accusati di avere contribuito ad organizzare feste ad Arcore, concluse con incontri intimi tra Berlusconi e alcune delle invitate e con la consegna di «denaro o altra utilità» a partire dagli inizi del 2009 e fino al gennaio 2011. L’andirivieni di ragazze «a gettone», secondo i pm, sarebbe cioè proseguito anche quando l’esistenza dell’indagine era nota da tempo. Gli stessi tre imputati sono accusati di induzione alla prostituzione minorile nei confronti di Kharima el Mahroug, alias «Ruby Rubacuori»: qui l’inizio del reato viene collocato nel settembre 2009, quando Ruby partecipa ad un concorso di bellezza in Sicilia, e fino al maggio del 2010.
Nessun ripensamento, dunque, da parte di Edmondo Bruti Liberati, dei suoi vice Ilda Boccassini e Pietro Forno, e del pm Antonio Sangermano. L’atto finale dell’indagine (il fascicolo resta formalmente aperto, ma solo per alcuni collaboratori di Mora) si muove esattamente nel solco degli avvisi di garanzia emessi a metà gennaio e della richiesta di rinvio a giudizio immediato, già avanzata e già accolta a carico di Berlusconi.
Non produce ripensamenti neppure l’errore scovato da Emilio Fede nelle carte dell’inchiesta: il direttore del Tg4 la settimana scorsa aveva segnalato che una telefonata avvenuta secondo i pm tra lui e Ruby il 14 febbraio 2010, giorno della prima visita ad Arcore della fanciulla, in realtà non era mai avvenuta. «Quello non è il mio numero di telefono - aveva denunciato Fede - bensì il numero di Mora». Ma ieri Bruti Liberati ridimensiona la portata della scoperta: «Il foglio 50/782, dove il numero telefonico viene erroneamente attribuito a Fede, in realtà riporta solo un appunto di lavoro. Il rapporto della polizia, che è l’atto inserito tra le fonti di prova, indica correttamente Mora come intestatario dell’utenza».
I tre imputati si dicono sereni, e convinti di poter venire prosciolti già nell’udienza preliminare davanti al giudice Maria Grazia Domanico. Ma in tribunale si fa già il toto-giudice per indovinare chi celebrerebbe il processo se invece ci fosse il rinvio a giudizio. E circolano anche i primi nomi.
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