Processo all'omeopatia Fuorilegge un farmaco su 2

Entro il 2017 i prodotti che non avranno superato i test dell'Agenzia del farmaco saranno cancellati dal mercato

Processo all'omeopatia Fuorilegge un farmaco su 2

Gli scienziati la considerano «acqua fresca»: inutile, costosa e dannosa (se utilizzata al posto delle terapie scientifiche). I sostenitori delle cure naturali la incensano come l'alternativa agli antibiotici e alle terapie tradizionali. Fatto sta che - a torto o a ragione - l'omeopatia viene utilizzata da 8 milioni di persone e fattura 300 milioni di euro all'anno facendo dell'Italia il terzo mercato più redditizio d'Europa.

Ma ora fiori di Bach e tinture madri sono a una svolta. Entro la fine dell'anno la metà dei 13mila prodotti in commercio (alcuni da 30 anni) potrebbero sparire dagli scaffali di farmacie e parafarmacie. Prima del 30 giugno le aziende produttrici dovranno consegnare all'Agenzia del farmaco i dossier dei medicinali omeopatici per la nuova registrazione e, per forza di cose, ci sarà una grossa operazione di scrematura. Innanzitutto perché presentare il dossier costa più di 10mila euro a prodotto (a seconda dei componenti che contiene) e non tutti i marchi omeopatici hanno vendite tali da giustificare un investimento così alto. E poi perché non tutti i preparati avranno i requisiti per passare il test al microscopio. In sostanza, i prodotti omeopatici verranno analizzati in laboratorio al pari dei farmaci tradizionali e valutati in base al livello di tossicità, qualità, sicurezza e utilità. Sopravviveranno solo quelli che rispetteranno i criteri Aifa e supereranno tutto l'iter di controllo. I prodotti che presenteranno all'Aifa anche «prove cliniche» potranno perfino riportare le indicazioni terapeutiche sull'etichetta (ad esempio, «medicinale indicato per i disturbi all'apparato respiratorio»): voce ad oggi assolutamente vietata vista la non validità scientifica dell'omeopatia. Altri prodotti più soft, tipo le pomate a base di arnica, seguiranno un iter burocratico più snello ma dovranno scrivere chiaramente sulla confezione che il «medicinale omeopatico è senza indicazioni terapeutiche approvate». Insomma, resta comunque l'incognita sull'efficacia dell'omeopatia, pratica per la quale si riesce a vedere qualche risultato positivo sui pazienti ma non si riesce a dimostrare il meccanismo di azione, tanto che i farmacologi parlano solo di «effetto suggestione».

FARMACI O NON FARMACI?

I nuovi paletti serviranno comunque a mettere ordine in un settore in cui la confusione è parecchia. E, anche se le piccole aziende omeopatiche non riusciranno a mettersi in regola in tempo rischiando di chiudere, tutti ammettono che la svolta è necessaria. A cominciare dal presidente di Omeoimprese e direttore Affari istituzionali dell'azienda Guna, Giovanni Gorga: «Certo, avremmo voluto avere più tempo per presentare i dossier - spiega - ma ci auguriamo che, dopo le nuove registrazioni, cadano tutte le resistenze a cui dobbiamo far fronte e i prodotti omeopatici vengano considerati farmaci a tutti gli effetti, cosa che tra l'altro sono già oggi a livello giuridico». La pensa in modo diametralmente opposto la comunità scientifica. Anzi, il rischio è che la situazione peggiori. Il paladino dell'anti omeopatia, Silvio Garattini, direttore dell'istituto Mario Negri, teme che le autorizzazioni Aifa «diano legittimità a prodotti che in realtà non servono a nulla» elevandoli al pari dei farmaci ufficiali. «Quella è acqua fresca - contesta - e ovviamente supererà come niente i test sulla tossicità. Ma stiamo parlando di qualcosa di totalmente irrazionale. Noi abbiamo analizzato in laboratorio i prodotti omeopatici ma dentro non ci abbiamo trovato nulla di nulla. Poi ognuno è libero di curarsi come meglio crede, ma si sappia che non fanno niente».

LA FORMAZIONE CHE NON C'È

Il processo all'omeopatia fa emergere anche una contraddizione da tempo irrisolta: se da un lato i consumi dei «pallini bianchi» da sciogliere sotto la lingua sono molto alti e comparabili con quelli di Francia e Germania, dall'altro lato l'Italia non riconosce la teoria di Samuel Hahnemann in alcun modo. O meglio: gli Ordini dei medici regionali prevedono un registro in cui gli omeopati si possono iscrivere (lo stesso a cui si iscrivono i medici che praticano agopuntura e fisioterapia) ma le iscrizioni sono a macchia di leopardo. Il motivo? Di fatto manca la formazione, l'omeopatia non si studia da nessuna parte. Significa che le università di Medicina non prevedono specializzazioni né master in Omeopatia, esistono solo corsi di ogni tipo che rilasciano attestati dopo full immersion di sei mesi appena. «Non si capisce perché le università dovrebbero organizzare i corsi su argomenti che non hanno nulla di scientifico» è netto Garattini.

Eppure esiste un accordo Stato-Regioni che, in assenza di corsi universitari specifici, ammette che le lezioni siano tenute da società scientifiche accreditate. Con docenti con curriculum di livello, 400 ore di lezioni, di cui 100 di tirocinio. Per scegliere le società da far salire in cattedra ogni regione è chiamata a istituire una commissione che valuti le candidature. Ma solo in cinque l'hanno fatto: Lombardia, Sicilia, Puglia, Piemonte, Toscana e (a breve) l'Emilia Romagna. «Non ci si rende conto di quanto sia importante la formazione - spiega Gorga - Serve per tutelare i pazienti e i medici omeopati seri, specializzati. E soprattutto spazza via tutta quella categoria di ciarlatani che si spacciano per omeopati ma hanno solo seguito un corso on line». Mai come ora serve distinguere chi vale e può esercitare e chi no. Soprattutto dopo la tragedia del bambino di Pesaro, morto per un'otite perché il pediatra si rifiutava di dargli tachipirina e antibiotici ma lo trattava solo con rimedi naturali. E, ancor di più, dopo i casi di medici che hanno convinto i pazienti malati di tumori a interrompere la chemioterapia e assumere solo intrugli omeopatici e bicarbonato di sodio. O ancora, per completare il quadro, dopo le vicende di alcuni medici (in aria di radiazione dall'ordine dei medici) che hanno illuso le mamme dei bambini autistici di poterli far guarire a base di vitamine e integratori. Con dei corsi universitari certificati, se non altro, si avrebbe la garanzia di trovare persone serie dietro la targa «medico omeopata».

PAESE CHE VAI, «OMEO» CHE TROVI

Ogni Paese europeo è soggetto alla direttiva del 2001, che l'Italia ha recepito con un po' di ritardo nel 2006, per l'autorizzazione dei prodotti omeopatici. Ma gli atteggiamenti sono molto diversi. In Francia e Germania l'omeopatia ha vita più facile e «ufficiale» rispetto all'Italia, la Svizzera ne rappresenta l'isola felice, in Gran Bretagna invece qualche anno fa c'è stata una pesantissima campagna contro la catena di farmacie che decise di vendere anche prodotti omeopatici. In Australia nel 2011 l'uso dell'omeopatia è stato definito «non etico per via della sua inefficacia».

E in California scoppiò il caso Oscillococcinum con la class action contro l'azienda Boiron, accusata di vendere solo un composto di acqua e zucchero e condannata a un risarcimento di 5 milioni di dollari ai consumatori.

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