nostro inviato a Bologna
Meno di una settimana fa Romano Prodi aveva scritto a Virginio Merola avvertendolo che non avrebbe partecipato alla chiusura della campagna elettorale. L’inventore dell’Ulivo, il «democrat» più autorevole di Bologna, che ignora i giorni più cruciali del suo candidato sindaco: un segnale palese di disimpegno. La situazione di Merola dev’essere così traballante che tutto il partito si è prostrato ai piedi del Professore implorandone un intervento taumaturgico.
Prodi si è impietosito e a sorpresa venerdì sera è salito sul palco di piazza Maggiore accanto a Pier Luigi Bersani, rubandogli la scena. Era dalla vittoriosa campagna elettorale del 2006 che l’ex presidente del Consiglio non teneva un comizio. Da tre anni si occupa di Africa e Cina, una «vita vagabonda» che inaspettatamente, venerdì sera, lo ha paracadutato proprio a Bologna, e proprio a puntellare le crepe del principe delle gaffe, il cui fiasco spianerebbe la strada al giovane avvocato leghista Manes Bernardini.
Si è destato dal letargo per parlare della città, del programma elettorale, del futuro della Dotta? Poco. Dell’impresentabile Merola? Ancora meno: poche ore prima, a La Spezia, ai giornalisti che gli chiedevano un pronostico bolognese aveva risposto: «Vinca il migliore». E allora, su che cosa Prodi ha arringato la folla di Piazza Maggiore? Sorbole, ma sulla ossessione unica della sinistra: Berlusconi. «Dove Berlusconi è andato a fare campagna elettorale ha portato un’ulteriore punta di volgarità. È diventata la sua bandiera e ne sento la vergogna in tutti i Paesi del mondo. Dobbiamo riscattarci perché colpisce la nostra vita e il futuro di tutti noi italiani».
Lo scorso febbraio, nel divampare della crisi libica, Prodi aveva rivendicato una «diversità antropologica» tra lui e il leader del centrodestra. «Una questione di stile, di dignità, di come si gestiscono i rapporti internazionali».
Ora il Predicatore ha alzato i toni: volgarità. Peccato imperdonabile, agli occhi del moralista dalla memoria corta. L’antivolgarità è la nuova bandiera della sinistra bolognese. Che però dovrebbe fare un tuffo nel recente passato e rinfrescarsi la memoria. Perché non è certo per una storia di garbo personale ed eleganza istituzionale che Bologna ha dovuto tornare in anticipo alle urne, ma per la spregiudicatezza dell’ex sindaco Flavio Delbono. Uno che, stando all’ex compagna Cinzia Cracchi, «ha avuto tante donne quanti i portici della città».
Anche prima di diventare sindaco, Delbono non era un Merola qualunque: era un uomo di Prodi, economista e docente universitario come il Professore, assessore al Bilancio di Bologna e vicepresidente della Regione, uno che vinse le primarie del Pd con quasi il 50 per cento contro il 23 di Maurizio Cevenini e addirittura il 21 di Merola, oggi suo aspirante erede. Ma Delbono aveva la sfrenata passione per il gentil sesso e le trasferte istituzionali trasformate in gite di piacere in compagnia della segretaria-fidanzata.
La faccenda fu svelata proprio dalla donna, sedotta e abbandonata. Vacanze in paradisi esotici camuffate da missioni di rappresentanza. Viaggi nelle grandi capitali con fanciulla al seguito e carta di credito della Regione per regali e alberghi. Per lei anche un bancomat intestato a un fornitore della Regione. Anni e anni di questa dolce vita. E quando lo scandalo esplose, il sindaco non aprì l’agenda in nome della trasparenza ma fece pressioni sulla Cracchi per convincerla ad ammorbidire la sua versione.
Lo scorso febbraio Delbono ha patteggiato la pena di un anno, sette mesi e 10 giorni per i reati di truffa aggravata, peculato, intralcio alla giustizia e induzione a rendere false dichiarazioni ai magistrati, e ha staccato un assegno di 46mila euro per risarcire
la Regione. Restano da definire le inchieste sul bancomat (corruzione è l’ipotesi di reato) e sulla busta paga gonfiata della Cracchi (concorso esterno in abuso d’ufficio). Ma in questi casi, guai a parlare di volgarità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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