Prodi perde un senatore, De Gregorio lo lascia

«Ringrazio sentitamente Berlusconi ma sono stato già dieci anni in Forza Italia»

Adalberto Signore

da Roma

Sergio De Gregorio è uno che le occasioni le sa cogliere al volo. La prima nel 1995 quando ancora giornalista riconobbe Tommaso Buscetta durante una crociera nel Mediterraneo nonostante l’intervento di chirurgia plastica al volto. Per Oggi fu uno scoop, per lui il primo passo verso la celebrità. L’ultima è dei primi di giugno, quando con 13 voti (il suo e quello di tutta l’opposizione) contro 11 riuscì a far saltare il banco della maggioranza, d’accordo sulla nomina dell’ottantenne pacifista Lidia Menapace alla presidenza della commissione Difesa del Senato. Da allora è stato un crescendo rossiniano, con De Gregorio prima a resistere alle pressioni di Antonio Di Pietro («ti devi dimettere!», andò avanti a urlare per un giorno intero il leader dell’Italia dei valori), poi a giurare fedeltà alla disciplina di partito in occasione del voto sull’indulto («la penso come Giovanni Paolo II, ma rispetterò le indicazioni di Di Pietro»). In mezzo, molti altri inequivocabili segnali. Il più chiaro quando decise di bissare e in occasione del voto in commissione sui tagli alla Difesa previsti nel Dpef si schierò ancora una volta con la Cdl. Finì come con la Menapace, con la maggioranza di nuovo battuta.
Non stupisce, dunque, che ieri la querelle sia arrivata al capolinea. Con De Gregorio che ufficializza il suo addio all’Italia dei valori e a Di Pietro, che si vede pure recapitare dei «sinceri» ringraziamenti. «Voglio dedicarmi», spiega il senatore, a un progetto che «ponga fine allo scontro all’arma bianca tra i due poli» perché «bisogna anteporre le necessità del Paese alla voglia di rissa». E giura: «Nessun cambio di casacca». «Berlusconi - dice - lo ringrazio sentitamente, ma in Forza Italia ci sono stato già dieci anni». E già, perché la sua avventura politica iniziò proprio con gli azzurri e sfociò nel 2005 con la candidatura alle regionali della Campania. Solo più tardi arrivò la Dc di Gianfranco Rotondi e poi l’Italia dei valori. Che lascia per dar vita a «una nuova formazione» nei gruppi misti di Camera e Senato, dove già sono iscritti i parlamentari dell’Idv. I due sottogruppi si richiameranno al Movimento per gli italiani nel mondo, da tempo un suo cavallo di battaglia non solo in politica. L’omonima associazione, infatti, promuove il made in Italy nel mondo, con sedi a Londra e Buenos Aires e tanto di rete satellitare (Italiani nel mondo channel). Sulle adesioni ai due nuovi sottogruppi, De Gregorio non ha alcun dubbio: «Ci sto lavorando da settimane, sarà un successo». E naturalmente, «in piena coerenza con la prospettiva della grande coalizione», saranno aperti alle adesioni di parlamentari di centrosinistra e centrodestra. Due gli obiettivi a breve termine: battersi contro la legge che sta preparando l’Unione sul conflitto di interessi perché «vendicativa nei confronti di Berlusconi» e dire no ai tagli alla Difesa che la sinistra radicale starebbe cercando di imporre a Prodi. Sul resto, «mani libere». Quanto a Di Pietro, spiega, «è già in agenda un incontro nel quale intravedo una dolorosa separazione consensuale».
Un termine forse inappropriato se Leoluca Orlando, portavoce dell’Idv, fa sapere di «apprendere dalle agenzie di stampa che De Gregorio ha lasciato il partito». «Apprendiamo anche - dice ancora Orlando che tiene a puntualizzare di parlare «d’intesa» con Di Pietro - che avrebbe già previsto un incontro con il presidente per spiegare le ragioni di questa sua scelta. Un incontro superfluo, piuttosto spieghi agli elettori perché ha utilizzato l’Italia dei valori a fini strettamente personali, con l’unico scopo di approdare in Parlamento». Un malessere, quello dei vertici dell’Idv, che si allarga anche al resto della coalizione, preoccupata sia dai risicatissimi numeri in Senato (158 a 156, più l’indipendente Pallaro ma con il presidente che per prassi non dovrebbe votare) che dal fatto di non poter più contare su una maggioranza stabile in una commissione cruciale come quella presieduta da De Gregorio. Così, ci sta che Ds e Rifondazione lo invitino senza troppi giri di parole alle dimissioni. Chiarissimo Vannino Chiti. «I cittadini - dice il ministro per i Rapporti con il Parlamento - non l’hanno votato perché passava per strada ma perché candidato dal centrosinistra. O si mantiene la coerenza o si dovrebbe sentire il dovere di dimettersi». «O riesce a non essere schizofrenico - gli fa eco il capogruppo del Prc al Senato Giovanni Russo Spena - oppure si dimetta». Tutt’altra aria, invece, nell’opposizione. Con la Dc che lo invita apertamente a «tornare a casa». «Rotondi e tutti noi - dice il responsabile Enti locali Franco De Luca - lo accoglieremmo a braccia aperte».

Più conciso il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, che nel caso De Gregorio vede «ulteriori problemi per l’Unione». Mentre il leghista Roberto Calderoli non nasconde la sua soddisfazione: «De Gregorio se na va? E uno! La strada per Prodi è sempre più in salita».

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