Prof e genitori manifestano al posto dei figli

Alle 12.30 quando esplode l’ennesimo petardo tra le rotaie del tram, la signora Maria perde definitivamente la pazienza. «Andate a studiare invece di stare in strada. Vergogna!». Il venerdì di passione coi cortei degli studenti per il «No Gelmini day» e il 40° anniversario di piazza Fontana e quello dei lavoratori del pubblico impiego, inizia poco dopo le nove del mattino in largo Cairoli e paralizza la città fino alle prime ore del pomeriggio. Mandando in tilt il traffico e i nervi dei milanesi. In piazza ci sono tutti: liceali, quelli dei centri sociali e dei collettivi universitari, docenti e precari. Rappresentanti delle istituzioni cittadine e dei sindacati. Professori e genitori. Come quelli del liceo Virgilio che pur di dimostrare il loro disappunto contro la riforma scolastica, sono venuti in strada al posto dei figli. Loro invece hanno preferito restare in aula a studiare e a fare le ultime verifiche prima delle vacanze di Natale. «Sa com’è, a 16 anni possono avere anche idee diverse dalle nostre e fare altre scelte», raccontano le mamme.
Poi ci sono i duri e puri del centro sociale Cantiere, con i due ragazzi che all’ultima manifestazione erano finiti in cella di sicurezza per i tafferugli con le forze dell’ordine e ora invece si muovono tra le file del corteo col piglio dei capipopolo e a ritmo di slogan. E che importa se si tratta di prendersela con la Gelmini, la finanziaria, Tremonti e Berlusconi. Che importa se nei cori finisce dentro pure Tettamanzi e la Lega, gli «infami» studenti di Cl della Statale e le vittime di piazza Fontana, ricordate però con un giorno di anticipo. Quello che conta è esserci. C’è anche il tempo di vendere un bicchierino di vin brulè a un euro e prima di iniziare la sfilata, di lanciare petardi, uova e vernice contro il gazebo della Lega in piazza Cordusio e di lasciare uno striscione all’hotel Cavalieri contro i fascisti, firmato dai «Corsari». Sono qui per questo, per ricordare a Milano le proprie origini antifasciste, per inneggiare all’antirazzismo e chiedere di «rimuovere il segreto di Stato per fare luce sulla strage di Piazza Fontana perché ci sono stati troppi depistaggi. Ed è chiaro che si tratta di un disegno criminale che voleva sovvertire la democrazia». Già, deve essere proprio così. Lo hanno scritto anche sulle pareti dell’Assolombarda: «40 anni sono passati, ma i mandanti sono ancora qui».
Intanto cresce l’entusiasmo e a metà mattina i ragazzi dicono di essere tantissimi, diecimila solo loro, ma alla fine il bilancio della questura parlerà della metà e di 70mila lavoratori. Dai camion arrivano le note di «Bella Ciao» con i nostalgici che non perdono una strofa mentre i giovani ripetono solo qualche parola. Ai più piccoli, i capi hanno detto di mettersi al polso un laccetto verde e li hanno schierati in prima linea. Loro si tengono per mano con l’emozione negli occhi di star partecipando a qualcosa di unico e irripetibile. Hanno quattordici anni o poco di più, uno zaino in spalla e una maglietta con una scritta contro il ministro dell’istruzione. «La Gelmini, sì. Protestiamo contro la Gelmini». Chi sia poi in realtà, non lo sanno nemmeno. Sgranano gli occhi e ammutoliscono quando si prova a chiedere il perché di tanto accanimento.

Si guardano intorno smarriti, come se tutto d’un tratto quella forza di far parte di qualcosa di grande e rivoluzionario li avesse abbandonati. «Insomma, sono qui contro la legge. Sì, quella della scuola. Ma anche la finanziaria». Proprio così. Ma che importa, quello che conta è esserci.

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