Ma il Professore si schiera con l’ex pm

«Avrei preferito escludere la corruzione». Intesa tra i Poli: restano le pene accessorie

Marianna Bartoccelli

da Roma

Nella giornata dell’indulto arriva alla Camera il premier Prodi per rispondere al question time calendarizzato da tempo. Per l’occasione il «descamisado» ministro delle Infrastrutture abbandona la piazza, si rimette la giacca e si siede accanto al suo capo di governo. È più di un segnale che lancia Di Pietro ai colleghi che hanno continuato a chiedere polemicamente se la sua protesta fosse stata il segnale di dimissioni (comunque minacciate) o, come ha ripetuto fuori dall’aula il ministro, la «riappropriazione del suo ruolo di parlamentare per tentare di stoppare una legge» che reputa ingiusta.
È il segnale di un asse che evidentemente rimane in piedi tra il premier e l’ex pm che in piena Tangentopoli interrogò Prodi al chiuso di una stanza e molti giurarono di avere sentito urla tipiche dipietrane dell’epoca e sussurri sempre più bassi, anche questi tipici, dell’allora presidente dell’Iri. E quando si avviarono le trattative per D’Alema presidente della Repubblica, l’attuale leader dell’Idv espresse le sue forti riserve e tutti dissero che Di Pietro dava voce al silenzio di Prodi.
Anche oggi, di fronte all’indulto, c’è il silenzio di Prodi e a urlare è rimasto Di Pietro, in compagnia del suo portavoce, il deputato Leoluca Orlando, l’ex sindaco palermitano prodiano-doc, che in rotta con la Margherita e Rutelli, ha scelto l’Idv, ribadendo a ogni occasione, anche ieri, che tra lui e Prodi l’asse è sempre forte. Anche se probabilmente stavolta Di Pietro ha esagerato nei toni e nello scontro con il ministro Mastella. E Prodi sembra essersi convinto della «necessità» dell’indulto per cui a fine serata ha voluto «un colloquio chiarificatore» con Di Pietro per abbassare una fibrillazione dentro il governo in un momento molto difficile, visto che da oggi inizia al Senato il dibattito sull’Afghanistan.
Intanto in aula il voto sugli emendamenti ha registrato continue maggioranze trasversali, Fi insieme a una parte dei Ds, a Rifondazione Comunista e i Verdi, proteste dell’Idv, a cui seguono polemiche di An e poi tocca alla Lega, sino a sera tardi, quando l’assemblea decide di rinviare tutto a stamattina. Il peso dell’approvazione della legge è tutto sull’assemblea parlamentare, ha ribadito di continuo Prodi, nel tentativo di tirare fuori il governo da una legge che pare non incontri il favore della maggioranza degli italiani. «L’indulto è un fatto parlamentare perché servono i 2/3», ha detto Prodi uscendo dall’aula dove ha concluso il question time e nelle sale di Montecitorio non esprime alcuna considerazione, salvo poi rilasciare in televisione, su La7, la dichiarazione simil-Di Pietro: «Avrei preferito un altro tipo di indulto che escludesse i reati di corruzione», ma subito aggiunge: «È indispensabile in questo momento approvarlo», ripetendo quanto detto dallo stesso Violante, a cui questa formulazione di legge non piace. Ed è per questo che per ognuno degli emendamenti presentati, il presidente Fausto Bertinotti ha ripetuto la stessa litania: «Il governo si rimette all’aula».
Un’aula che nel lungo pomeriggio di discussione sugli emendamenti ha votato quello sull’eliminazione delle pene accessorie secondarie dal beneficio dell’indulto, presentato dall’Unione, frutto di mediazione con la stessa Idv.

Altri sono stati bocciati da una maggioranza che lascia intuire che alla fine i due terzi possono essere raggiunti, mentre gli emendamenti voluti da Violante per eliminare dalla clemenza il reato di usura e di estorsione, presentati da An e Lega, verranno discussi oggi. Poi il voto finale.

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